OTTOBRE MESE DELLA CONSAPEVOLEZZA SULL’ADHD


ADHD FALSI MITI E REALTÀ – CAPIRE LA DIFFERENZA

L’Associazione Italiana Famiglie ADHD aderisce e partecipa all’iniziativa internazionale “ADHD Awareness Month – October 2019” (Ottobre 2019, Mese della consapevolezza dell’ADHD). Infatti, in collaborazione con ADHD Europe, la rete europea delle associazioni di familiari e di pazienti con ADHD https://www.adhdeurope.eu/ e Adhd Awareness Month Coalition – October 2019  https://adhdawarenessmonth.org/, AIFA Odv www.aifaodv.org partecipa alla campagna internazionale promuovendo incontri ed eventi in tutta Italia.

“ADHD: Myths and Facts, Know the Difference” (ADHD: falsi Miti e Realtà, conoscere la differenza) é il tema dell’anno 2019 di “Ottobre, Mese della consapevolezza dell’ADHD” scelto per rispondere a dubbi e incertezze che spesso contribuiscono a fare dell’ADHD un disturbo sconosciuto.

AIFA Odv presenta qui di seguito, tradotto in italiano, il contributo – come sfatare il mito “l’ADHD non esiste” – di Russell Barkley nel quale lo specialista di fama internazionale per gli studi condotti sull’ADHD, offre la corretta chiave di lettura per affermare che l’ADHD esiste.

Per informazioni:  referente.imperia@aifa.it, +39 3496658925, Monica Conversano, membro di AIFA Odv in ADHD Europe.


Mito: L’ADHD non esiste.

Evidenza: Ci sono più di 100.000 articoli su riviste scientifiche sull’ADHD (riconosciuto in passato con altri termini) e i riferimenti all’ADHD compaiono in libri di testo medici risalenti al 1775.

Russell A. Barkley, Ph.D. Virginia Commonwealth University
Medical Center
Richmond, VA USA 23235
Sentiamo ripetere periodicamente nei media che qualche opinionista, esperto o celebrità abbia dichiarato l’ADHD un falso mito. È stato persino il titolo di un libro commercializzato da Richard Saul pubblicato qualche anno fa. Questa inesistenza di ADHD è spesso dichiarata con sicurezza, ma nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Quando sento tali affermazioni, mi chiedo il motivo di tanta insistenza. Dopo tutto, ci sono più di 100.000 articoli in riviste scientifiche sull’ADHD (riconosciuto in passato con altri termini) e i riferimenti all’ADHD possono essere trovati in libri di testo medici risalenti al 1775. È possibile quindi, che chi afferma ciò stia semplicemente dimostrando ignoranza o analfabetismo rispetto a quanto la scienza dice sul disturbo. Queste persone, non solo non sanno di cosa stanno parlando, ma non vogliono neanche saperlo. Se l’avessero fatto, anche spinti da un briciolo di motivazione, sarebbero andati su Internet, cercato su “Google Scholar” o avrebbero potuto fare ricerca su alcune riviste scientifiche. È facile perdonare tale ignoranza e comprendere la pigrizia intellettuale che c’è dietro.

Il più delle volte, tuttavia, questi critici dell’ADHD portano avanti programmi politici o religiosi. Dichiarare l’ADHD un falso mito serve ad altri scopi, per questo il pubblico viene intenzionalmente ingannato attraverso la propaganda. L’obiettivo dei critici è di ingannare intenzionalmente chi ascolta, possiamo dunque considerarli non solo nefasti ma chiaramente malvagi (intenti a danneggiare gli innocenti).

Per dire che l’ADHD non esiste in un dibattito intellettuale onesto, si presume che qualcuno abbia applicato un insieme di criteri attraverso cui i disturbi mentali possano essere misurati, per dichiararne l’esistenza. È necessario inoltre, che si siano prese in considerazione le evidenze scientifiche disponibili per stabilire se quei risultati soddisfino i criteri, affinché si possa parlare di un vero disturbo mentale.

Tuttavia non è di questo che parlano i critici, perché quando viene chiesto loro di mostrare i criteri che usano, per definire un disturbo mentale come reale o meno, non sono in grado di farlo in modo convincente.

Fortunatamente la scienza della salute mentale ci mette a disposizione criteri che ci aiutano a comprendere meglio. Personalmente preferisco i criteri espliciti stabiliti da Jerome Wakefield, Ph.D. più di 20 anni fa, ma sono abbastanza simili ad altri utilizzati già precedentemente per rappresentare equamente i criteri spesso impiegati nel campo della salute mentale.

I disturbi reali consistono: (1) in un cattivo funzionamento o un grave deficit delle capacità mentali, universali tra le persone (adattamento mentale) e (2) che il mal funzionamento comporti danni all’individuo. È così semplice. Le persone con diagnosi di ADHD mostrano in modo evidente un mal funzionamento delle abilità mentali nel loro sviluppo tipico? Se è così, cioè il peso di questo deficit è tale da danneggiare l’individuo, possiamo dimostrare che l’ADHD soddisfa entrambi i criteri.

Prendiamo in esame il primo – quello per cui ci deve essere l’evidenza che una capacità mentale (o più capacità) in uno sviluppo tipico, sia carente o sostanzialmente deficitaria.

Nel caso dell’ADHD, vi sono prove schiaccianti che l’ADHD comporti una grave carenza per entrambe i tipi: quello con difficoltà di attenzione (scarsa attenzione sostenuta e distraibilità) o di inibizione comportamentale (impulsività e iperattività).

Sappiamo che queste sono universalmente e dimensionalmente caratteristiche o abilità in tutte le persone con normale sviluppo e noi abbiamo migliaia di studi che dimostrano che tali carenze, sono tipiche dell’ADHD nella sua massima espressione.

Ma c’è altro, che va oltre gli evidenti problemi di funzionamento mentale nell’ADHD. Abbiamo discusso altrove come questi sintomi evidenti o di superficie dell’ADHD riflettano in realtà un problema di fondo nello sviluppo delle funzioni esecutive (EF). Normalmente tutte le persone hanno un sistema di lobi frontali, o cervello esecutivo, che fornisce quelle abilità esecutive mentali necessarie per dirigere gli obiettivi o azioni future: consapevolezza, inibizione, memoria di lavoro, autoregolazione emotiva, auto-motivazione e pianificazione/risoluzione dei problemi. Quelle abilità mentali ci auto-regolano. I sintomi tradizionali dell’ADHD emergono e sono strettamente correlati con la carenza di queste abilità mentali.

Inoltre ci sono prove incontestabili di centinaia di studi di ricerca fatti con vari metodi di neuroimmagini, per cui l’ADHD sia sistematicamente associato ad un cattivo sviluppo, ad un funzionamento disturbato o irregolare con una compromissione della connettività funzionale nella regione e nelle reti che coinvolgono il cervello esecutivo; soprattutto la corteccia prefrontale.

Quindi, sia che si sottoscriva l’opinione che l’ADHD sia un disturbo delle funzioni esecutive (EF) o che si aderisca più strettamente alla concettualizzazione diagnostica dell’ADHD come disturbo di disattenzione e inibizione, l’evidenza supporta il fatto che questi sintomi riflettono un mal funzionamento o un grave deficit di un insieme di meccanismi mentali che sono comuni a tutte le persone tipiche. Il Criterio n.1 è stato soddisfatto.

Possiamo associarlo ad un danno per l’individuo? Il danno come notato prima si riferisce all’elevato rischio di mortalità (morte), morbilità (problemi medici), sofferenza personale (un’evidente riduzione della qualità della vita) o compromissioni nei principali ambiti della vita, essenziali alla sopravvivenza o al proprio benessere. Questi comprendono il funzionamento familiare e sociale, l’istruzione, l’attività professionale, la gestione finanziaria, il funzionamento sessuale, l’educazione dei figli, il fidanzamento, il matrimonio o la convivenza, tra tutte le più importanti attività della vita adulta.

Solo uno di questi danni deve essere stabilito scientificamente per soddisfare i nostri criteri. Nel caso dell’ADHD tutti risultano con un rischio più elevato rispetto alle persone normali.

Nell’ultimo decennio è stato ripetutamente dimostrato che questo disturbo è legato ad un aumento del rischio di mortalità precoce, che rischia di essere quasi il doppio nei bambini prima dei 10 anni e di essere più di 4 volte maggiore negli adulti prima dei 45 anni. Inoltre, uno studio, mio e dei miei colleghi pubblicato nel 2019 mostra una riduzione di 9-13 anni nella speranza di vita, stimata fin dai primi anni dell’età adulta.

I nostri criteri richiedono, inoltre che l’ADHD comporti un aumento della morbilità. Come infiniti studi hanno dimostrato, l’ADHD è, tra tutti, il disturbo che provoca il maggior rischio di danni accidentali, e di solito la mortalità precoce nei bambini e negli adulti è il principale. Le persone con ADHD incorrono da 3 a 5 volte di più (rispetto ai bambini con sviluppo tipico o altri disturbi) nel rischio di ferirsi accidentalmente o di essere vittima di ripetuti incidenti, quindi ricoveri al pronto soccorso o all’ospedale.

Anche se l’ADHD non predispone ad una maggiore mortalità o morbilità, numerose ricerche dimostrano l’inefficacia nelle funzioni delle persone con ADHD in una miriade di attività di vita quotidiana, il che significa che ne derivano conseguenze negative per loro.

La compromissione è il risultato di ciò che l’ambiente rimanda, in risposta ai sintomi dell’ADHD.

Sono pochi i disturbi mentali di grave entità trattati ambulatorialmente che danneggiano le persone in più contesti di vita, tuttavia questo è ciò che fa l’ADHD.

Come potete vedere, l’ADHD soddisfa ampiamente entrambi i criteri per essere riconosciuto come un vero disturbo mentale. Dunque l’ADHD è reale.

A volte i critici giungono alla ridicola affermazione che l’ADHD non può essere reale perché per affermare che un disturbo sia vero, occorre avere specifici test di laboratorio.

Questa affermazione è assurda; non esistono esami di laboratorio per i disturbi mentali, come per altre patologie, persino per disturbi comuni come mal di testa, mal di schiena, mal di stomaco, varie forme di dolore, per non parlare delle prime fasi del morbo di Alzheimer, sclerosi multipla, lupus, ecc.

In nessuna parte della medicina o della salute mentale troviamo che, per provarne l’esistenza debbano esistere test di laboratorio appositi, sia che si tratti di medicina generale che di salute mentale. Affermare il contrario significa travisare grossolanamente la storia in questi ambiti scientifici. L’assenza di un test non si traduce con l’inesistenza del disturbo.

I disturbi sono principalmente scoperti descrivendo inizialmente i sintomi che si ritiene costituiscano quella condizione dimostrandone la coerenza (raggruppandoli insieme sistematicamente). Poi gli scienziati cercano le cause che provocano quei sintomi. Solo allora, anni o addirittura decenni dopo, quando le prove riguardanti le cause sono ben consolidate, la scienza clinica è in grado di individuare strumenti per effettuare test di routine.

I critici hanno messo il carro davanti ai buoi o meglio esposto il problema al contrario – sintomi e disturbi reali precedono l’identificazione dei test di laboratorio, non il contrario.

In sintesi, riconoscere in prima battuta l’ADHD un mito, vale a dire che si ignora la scienza o che qualcuno voglia intenzionalmente fuorviare chi ascolta per qualche ragione nefasta.

Non è gratificante e non dovremmo permetterlo.

 

 

Sull’autore:    RussellABarkley

Russell A. Barkley, Ph.D. è uno scienziato clinico, educatore e professionista che ha pubblicato 23 libri, scale di valutazione, oltre 290 articoli scientifici e capitoli di testi relativi alle caratteristiche, valutazione e trattamento dell’ADHD ed altri disturbi correlati e manuali clinici giunti a 41 edizioni. È Professore clinico di Psichiatria presso il Virginia Treatment Center for Children e la Virginia Commonwealth University Medical Center, Richmond, VA. I suoi siti web sono www.russellbarkley.org e adhdlectures.com.

 

Referenze:

Barkley, R. A. (2015). Problemi di salute e relative compromissioni in bambini e adulti con ADHD. In R. A. Barkley (ed.) Attention deficit hyperactivity disorder: A handbook for diagnosis and treatment (4th Ed) (pp.267-313). New York, NY: Guilford Press.

Barkley, R. A. (2015). Compromissioni nell’istruzione, nel lavoro, nelle relazioni e nella vita matrimoniale, e nella gestione dei soldi negli adulti con ADHD. In R. A. Barkley (ed.) Attention deficit hyperactivity disorder: A handbook for diagnosis and treatment (4th Ed) (pp. 314 342). New York, NY: Guilford Press.

Barkley, R. A. & Fischer, M. (2019). Sindrome del bambino iperattivo e aspettativa i vita stimata dal follow-up dei giovani adulti. Il ruolo della persistenza dell’ADHD ed altri potenziali predittori. Journal of Attention Disorder, 23(9), 907923.

Barkley, R. A., Murphy, K. R., & Fischer, M. (2008). ADHD negli adulti: cosa dice la scienza. ADHD in adults: What the science says. New York: Guilford Press.

Dalsgaard, S., Ostergaard, S. D., Leckman, J. F., Mortensen, P. B., & Pedersen, M. G. (2015). Mortalità in bambini, adolescenti e adulti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività: uno studio di un gruppo di lavoro nazionale. Lancet, 385, 21902196. Faraone, S. C., Asherson, P., Banaschewski, T., Biederman, J., Buitelaar, J. K., Ramos Quiroga, J. A. et al. (2015). Attentiondeficit/hyperactivity disorder. Nature Reviews (Disease Primers), 1, 123.

Frazier, T. W., Demareem H. A., & Youngstrom, E. A. (2004). Meta-analisi delle performance dei test intellettivi e neuropsicologici  nel disturbo da deficit di attenzione/ iperattività. Neuropsychology, 18, 543555.

Hervey, A. S., Epstein, J. N., & Curry, J. F. (2004). Neuropsicologia degli adulti con disturbo da deficit di attenzione /iperattività. Revisione meta-analitica. Neuropsychology, 18495503.

London, A. S., & Landes, S. D. (2016). Disturbo da deficit di attenzione e iperattività e mortalità in età adulta. Preventive Medicine, 90, 810.

Nigg, J. T. (2013). Disturbo da deficit di attenzione / iperattività e risultati negativi sulla salute. Clinical Psychology Review, 33215228.

Wakefield, J. C. (1999). Analisi evolutive contro prototipi del concetto di disturbo.
Journal of Abnormal Psychology, 108
374399.