“…una maestra lo chiamava “tonto” e lo teneva in piedi vicino alla cattedra”

Francesco, in età prescolare, era un bambino curioso e pieno di interessi voleva che gli leggessi molte cose con argomenti prevalentemente scientifici ma non aveva mai mostrato interesse per la lettura e la scrittura.

La storia del suo problema comincia con la prima elementare anche se, con quello che sappiamo adesso, possiamo dire che c’erano stati anche prima parecchi segnali, ma noi non ce ne eravamo resi conto.

Prima elementare in un paese con insegnanti per niente preparate sui disturbi di apprendimento e tragiche dal punto di vista umano (picchiavano e urlavano) poiché Francesco non riusciva a leggere e scriveva commettendo molti errori. In seconda elementare lo mandiamo in un’altra sede della stessa scuola pensando che, superato il trauma, tutto si sarebbe risolto, ma niente: leggeva male ed appariva sempre distratto in classe, mentre le maestre consentivano che i suoi compagni lo riprendessero in coro mentre leggeva (lo abbiamo saputo l’anno dopo). Terza elementare comincia a restare indietro con il programma da studiare: facciamo i compiti assieme ma non riesce a ricordare quello che studia e legge in modo stentato, sillabando e sbagliando o invertendo alcune lettere nonostante le continue esercitazioni, motivo per cui in quegli anni lo sottoponiamo a ben 4 visite oculistiche!

Francesco è un bambino tranquillo ma si alza spesso dalla sedia e ogni scusa è buona: acqua, merenda, pipì, i fratelli… Presta attenzione a tutto quello che accade in casa e fuori. Una maestra lo ha chiamato “tonto” davanti a me e lo teneva in piedi vicino alla cattedra “per farlo stare attento”.

Non sapevamo più cosa fare con Francesco e con le maestre era inutile parlare perché, nonostante riferissi le nostre difficoltà da anni, non ero creduta né presa in considerazione. Per caso a settembre leggemmo un articolo di Repubblica che parlava di dislessia e disgrafia e ci rivolgemmo ad un Istituto di neuropsichiatria infantile dove, a gennaio, avemmo la diagnosi di disturbo di apprendimento, ma la situazione non migliorò molto. Dopo un anno, la logopedista disse che non era più necessario il suo intervento, le maestre continuavano a far leggere Francesco in classe e lui continuava ad evadere dalla vita scolastica pensando ad altro.

I compiti occupavano tutta la nostra vita, anche l’estate, ma Francesco, nonostante le continue frustrazioni, era dispiaciuto e non indifferente al suo rendimento scolastico. Finite le elementari, con grossi sacrifici e sconsigliati dagli esperti dell’istituto, ci siamo rivolti ad una scuola privata dove abbiamo ricevuto affetto e rispetto e anche se gli insegnanti non erano esperti in disturbi dell’apprendimento hanno saputo ridare a Francesco, durante le scuole medie, la curiosità e la voglia di apprendere, la stessa che aveva da piccolo. I risultati, però, erano troppo pochi, così ci siamo rivolti ad uno psicoterapeuta per cercare di capire se ci fossero altre cause, ma lui, dopo averlo esaminato a lungo, ci rassicurò dicendo che “andava tutto bene, era ben strutturato e prima o poi si sarebbe sbloccato”.

Così, finite le medie, l’anno scorso lo abbiamo scritto di nuovo ad una scuola pubblica: un liceo scientifico sperimentale dove si trova bene dal punto di vista umano ma ad aprile aveva la media del 4 e mezzo. Di nuovo per caso venimmo a sapere che una nostra amica aveva fatto esaminare suo figlio da un esperto in ADHD per cui, senza molta convinzione, andammo anche noi. Il Dottore riscontrò in Francesco tutti i sintomi del deficit dell’attenzione e qualcosa dell’impulsività. Dal 5 maggio del 2001 ha cominciato a prendere il Ritalin e in una settimana è diventato un altro ragazzo: ha recuperato in un mese di scuola tutte le materie, salvo inglese, studia da solo, legge con lentezza ma comprende il testo e lo memorizza, riposa tranquillo la notte. Si è come svegliato da un lungo sonno e fa progetti, organizza il suo tempo anche a lunga scadenza cosa che non aveva mai fatto. Ma di tutti i cambiamenti che ha attraversato, quest’ultimo, non so perché, è quello che più mi ha colpito: programma il suo futuro! Forse perché adesso anche noi, per la prima volta dopo tanti anni, siamo più sereni e fiduciosi per il suo futuro.

Lettera firmata. Roma, 28/9/2001