ADHD un problema sociale |
L’impegno concreto di un’associazione di genitori |
di Enzo Aiello – gennaio 2004 |
Un’ Associazione come l’AIFA già esisteva nel cuore di tantissimi genitori ancor prima del suo costituirsi, in quella parte molto speciale dove i sogni nascono e attingono anche la forza e l’amore per divenire “realtà”. |
L’ADHD in questi ultimi anni, anche in Italia, un ha iniziato a dimostrare di essere un grave problema sociale : ebbene, il vissuto personale di dolore di fronte a sofferenze ed emarginazioni di alcuni genitori in una sfida terribile contro l’arretratezza culturale e strutturale del nostro Paese, si è pian piano trasformato a sua volta in aiuto concreto ad molte altre famiglie. |
L’AIFA rappresenta, come tantissimi genitori ci hanno testimoniato , questo miracolo di solidarietà nato dall’amore di tanti padri e madri che unisce, con gli stessi intenti e speranze come un’invisibile catena, i genitori da Ragusa ad Aosta, da Imperia a Trieste. |
Grazie per questo spazio che avete costruito per noi genitori, per farci sentire meno soli nel nostro cammino… Grazie per le parole di affetto e di speranza che sempre riuscite a trovare… Grazie per la forza con cui lottate per l’ADHD… Grazie perché ci siete e ciò ci rassicura… |
E da genitori che ben sanno che solo l’amore fa esistere è nata questa grande famiglia dell’AIFA. |
L’ascolto delle famiglie attraverso le testimonianze |
Il libro che con Raffaele D’Errico abbiamo scritto raccoglie solamente alcune testimonianze di quelle che in questi anni ci stanno quotidianamente giungendo da parte di genitori, fratelli, amici, parenti o insegnanti di bambini o adolescenti con ADHD. Esse toccano in modo particolarmente profondo il nostro cuore perché si tratta di un cuore di genitori che ha vissuto e molte volte ancora sta vivendo, pur in contesti diversi e con diverse accentuazioni la stessa realtà, gli stessi problemi e… le stesse speranze. |
La sofferenza. “Vedo che è lui il primo che soffre”… Noi genitori viviamo in pieno la sofferenza del nostro figlio, bambino o adolescente, rendendoci conto di quali difficoltà incontri il nostro figlio nella relazione sociale, con i compagni e gli amici, nella scuola, con i fratelli. E’ una sofferenza che è legata alla sofferenza del figlio e solamente secondariamente alle difficoltà incontrate oggettivamente quotidianamente nei vari contesti. Quando si ama la sofferenza della persona amata diventa anche la nostra: quanto è più vero questo quando si tratta dei nostri figli. |
La frustrazione. “Anni di psicoterapia senza nessun risultato!”. La frustrazione è il sentimento che spesso assale i genitori che si rendono conto che tutti i loro sforzi e tutte le strade perseguite fino ad allora non sono state in grado di fornire anche il minimo risultato e che ancora non vedono prospettive di un qualche miglioramento per i loro figli. Tanti rimedi si rivelano troppo spesso inefficaci ancorchè perseguiti in modo costante per anni. E’ il sentimento che emerge anche quando si percepisce di non poter concretamente lavorare per il miglioramento delle condizioni del proprio bambino. |
L’inadeguatezza e l’impotenza. “Quale percorso va seguito per diventare un genitore adeguato di un bambino (ormai quasi ragazzo) ADHD?… Noi genitori oltre ad accompagnare nostro figlio in questo percorso, cosa possiamo fare per evitare di sentirci a volte alle stelle e altre volte depressi o meglio la vostra esperienza cosa vi fa consigliare a chi come noi è solo all’inizio della via?”. Di fronte alle mille difficoltà quotidiane ci si sente inadeguati, incapaci , impotenti ad affrontare le mille battaglie, contro il marito che non vuole ammettere il disturbo del proprio figlio o se ne disinteressa, con i figli che non accettano la disabilità del fratellino o della sorellina, con le famiglie d’origine che non mancano occasione per esprimere la propria opinione sui metodi educativi, con la scuola talvolta impreparata, talvolta insensibile in alcuni docenti a problemi che non conoscono, con i genitori dei compagni che accusano apertamente o evitano d’incontrarti e men che mai d’invitare ad una festa il tuo bambino. |
La rabbia. “Certo il fatto che trovo vergognoso e che mi da’ una rabbia grande è che una cosa così non è giusto venirla a sapere nell’ambito di una festicciola per ragazzi, in un incontro fortuito con una persona splendida ma che ufficialmente è solo una mamma (e che mamma!) e non un medico…” E ancora: “Che rabbia sapere che nella nostra regione non c’era nessuno in grado di porre questa diagnosi!”. E’ un sentimento che talvolta emerge in quei genitori che da troppi anni lottano e che per puro caso o comunque dopo troppo tempo vengono a conoscere del disturbo del loro bambino… Recentemente una mamma ci ha scritto: “Sono dieci anni che so che mio figlio soffre di ADHD e che combatto da sola in Italia con medici ignoranti e del tutto incapaci… Non so quante terapie inutili e quante frustrazioni… Nel mio paese si cura questa malattia da più di 25 anni!”. |
La speranza. “Finalmente la prima diagnosi : ADHD e dislessia! Capite non è più colpa mia! Non è colpa di noi genitori! Finalmente qualcuno si piega su di noi, ci accarezza e ci dice: -E’ un disturbo congenito del bambino! – Ma non è finito qui. Sappiamo che questo è solo l’inizio ma, finalmente a Luigi e a noi è data una grande possibilità… Oggi Luigi compie 12 anni ma possiamo dire che solo adesso sta nascendo!”. La diagnosi rappresenta un momento di svolta ed introduce i genitori nei sentieri della speranza. I sentimenti negativi precedenti sembrano improvvisamente svanire e le forze magicamente ritornare. |
La gioia. “La gioia è così grande che volevamo dividerla con chi ha reso possibile tutto questo, volevamo condividere con voi questa nostra grande gioia…”. E ancora: “E’ impossibile immaginare la nostra gioia dopo aver ricevuto dalla scuola proprio in questi giorni la pagella di nostro figlio e vedere il “miracoloso” cambiamento avvenuto in soli due mesi…”. E’ il sentimento che pervade i genitori quando dopo essere approdati ad una diagnosi verificano l’efficacia, spesso immediata, della terapia (questo effetto è tanto più evidente quando inizia il trattamento farmacologico): è un sentimento che spesso è associato alla meraviglia di poter verificare in così breve tempo così drastici miglioramenti. E’ anche un sentimento che più degli altri i genitori tendono a condividere con chi è stato vicino loro nel cammino, nei dubbi, nell’incertezza, nelle scelte. |
La gratitudine. “Volevo ringraziarvi per tutte le informazioni che sono riuscita ad avere da voi: mi avete indicato la strada tanto cercata. Vi scrivo per farvi sapere la mia disponibilità nel contribuire a questo progetto a favore di questi bambini”. E ancora: “Oggi non possiamo fare a meno di lottare al fianco di tutti quei bambini e quei genitori che a causa di questa turba soffrono l’isolamento e l’abbandono”. E’ il sentimento che ha permesso anche la crescita dell’AIFA: i genitori che hanno ricevuto consigli, attenzione e sentimenti di amicizia da parte di alcuni genitori, sentono l’obbligo a loro volta di aiutare l’Associazione divenendo referenti e vivendo a loro volta i sentimenti di gratuità che la animano. |
Il perdono. “Come genitori stiamo sperimentando anche l’importanza del perdono nei confronti di chi nel contesto sociale, senza rendersene conto, etichetta o stigmatizza o peggio ancora emargina”. E’ una dimensione del cuore fondamentale che si raggiunge nel tempo. E’ uno dei principi-guida che Barkley consiglia ai genitori, forse il più difficile da realizzare. Il perdono deve riguardare non soltanto gli altri ma anche e principalmente se stessi. In molte delle nostre risposte ai genitori affermiamo con forza che non dobbiamo farci assalire da sensi di colpa, ma dobbiamo considerare le cadute e gli errori come occasione straordinaria per fare meglio con il nostro bambino, migliorando contemporaneamente noi stessi. |
L’impatto sociale dell’ADHD: la realtà di sofferenza in vari contesti e situazioni |
La nostra personale esperienza e quella che quotidianamente viviamo a contatto con le famiglie ci hanno fatto affermare in molte occasioni che il disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività mette in crisi le nostre famiglie, i genitori, la scuola, la società, ma soprattutto lascia soffrire e relega in un mondo di emarginazione i nostri figli. Drammi familiari in primo luogo per diagnosi non fatte in passato, terapie inefficaci e psicoterapie inutili protrattesi per anni, denunce penali e civili rivolte ai genitori a causa di gravi comportamenti dei figli nell’ambito sociale, adulti con tale disturbo non trattato nel loro passato che convivono spesso con situazioni psichiatriche talvolta gravi, peggioramento negli adolescenti dei sintomi dell’ADHD con l’aggiungersi nel tempo di disturbi di condotta, depressivi o ansiosi, matrimoni falliti a causa dello stress generato dal disturbo, gravi conseguenze indotte nei fratelli e tanto tanto altro ancora costituiscono le testimonianze che ascoltiamo quotidianamente da oltre due anni di lavoro della nostra associazione. Ma converrà procedere con ordine ed analizzare sia pur velocemente alcuni ambiti che la nostra esperienza di associazione ha potuto verificare essere molto pesanti ed in qualche modo devastanti. |
1) LA SOFFERENZA DEL BAMBINO, DELL’ADOLESCENTE, DELL’ADULTO ADHD |
“Non reggo più soprattutto perché vedo che è lui il primo che soffre… in quest’ultimo periodo è troppo nervoso; da parecchio tempo dorme male e si sveglia con le occhiaie”. “…Il disturbo non è quello arrecato a me e alle maestre, ma nell’angoscia di un bambino che non riesce a trovare requie, che si sente sempre fuori luogo e a disagio perché non sa comportarsi come gli altri, che è intelligente e si rende conto che il suo comportamento è inadeguato ma che non riesce a fermarsi…”. “…Quando era il momento di fare i compiti, di leggere o scrivere a casa, si scatenavano le grandi disperazioni, al punto che lui stesso picchiava la testa sulla scrivania e piangendo mi chiedeva perché fosse nato “fatto male”. “Tornava da scuola piangendo perché, pur volendo, non riusciva a scrivere l’assegno sul diario, a finire i compiti in classe, ad ascoltare”. |
E’ fondamentale rendersi conto che la prima ricaduta sociale di questo disturbo è proprio la sofferenza che prova il bambino e l’adolescente che con un’alterazione neurobiologica non è in grado di selezionare gli stimoli, di pianificare le proprie azioni e controllare i propri impulsi. L’ADHD appare una malattia invisibile (al punto da indurre ancora molti a non considerarla reale) che si manifesta attraverso una grave alterazione comportamentale per cui i bambini non riescono a riflettere prima di agire,ad aspettare il proprio turno, a posticipare gratificazioni (sempre l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani). E’ la sofferenza di un bambino o un adolescente in qualche modo inabile che sa, già prima d’iniziare a svolgere un compito, di “non essere in grado”. |
“Ho dovuto studiare per ottenere questo , non è stata la bacchetta magica…ma finalmente adesso riesco ad applicarmi e capire quello che faccio!”. |
E ancora: “Mamma perché piangi?” Ed io gli ho risposto: ”Vedi Marco, oggi ho scoperto una cosa molto importante per me. Ricordi tutte le volte che mi dicevi: -Mamma, non ce la faccio, non ci riesco, non mi ricordo? Pensavo che mi prendessi in giro, ma ora ho capito che dicevi la verità!”. E lui, con espressione molto sollevata mi disse: ”Mamma, finalmente adesso lo hai capito!”. E ancora: “Nella mia testa c’era un buco nero con un tappo, adesso il tappo se ne è andato e il buco si sta riempiendo di cose e di colori!“. E ancora: “Sai mamma, sai papà: da quando prendo questa pillola mi sento più calmo e tranquillo, mi sento bene… Prima avvertivo dentro la mia testa una grossa confusione e tutto mi rimbombava compreso il mio nome e per questo alla fine non sapevo mai cosa fare e mi sentivo sempre agitato…”. |
2) L’EMARGINAZIONE DEL BAMBINO A LIVELLO SOCIALE E SCOLASTICO |
“Non riesce ad avere nemmeno un amico… e se qualcuno per sbaglio lo strattona è capace di sferrargli un pugno senza pensarci due volte; magari dopo chiede scusa e implora il perdono, ma nessuno vuole più stare con lui, nessuno più lo invita alle feste. Il parroco gli ha concesso di ricevere la Prima Comunione senza frequentare il Corso di Catechismo…”. “E’ stato appena sospeso e non so se questo sia servito a qualcosa… E’ sempre in castigo perché infastidisce i compagni, si comporta in modo negativo pur di attirare l’attenzione…”. |
Per approfondire questo aspetto ci affidiamo alle parole di Barkley nella sua Guida ai genitori, parole che ormai da tempo i ricercatori e clinici di tutto il mondo vanno confermando: |
”Un bambino ADHD non è questione di tempo e tutto passerà, ma questi atomi di comportamento vanno a formare molecole di vita giornaliera e queste molecole giornaliere più grandi composti di esistenza sociale settimanale e mensile e questi composti sociali strutture e passi di una vita da giocare su più anni. Il risultato è che l’ADHD non è la distraibilità del momento o l’incapacità a svolgere il lavoro da fare quotidianamente ma un relativo scadimento nel modo in cui il comportamento si organizza e si dirige verso il futuro della vita”. |
E’ questa profondissima realtà che ci fa capire che i bambini, gli adolescenti e gli adulti affetti dal disturbo soffrono per l’incapacità di adattarsi alle domande della vita sociale e perché in molti casi non riescono a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti: l’emarginazione è la naturale conseguenza di tutto ciò. La nostra associazione anche attraverso l’assistenza legale svolta in spirito di gratuità da parte di un nostro amico avvocato cerca di essere particolarmente vicina ai genitori, tramite i referenti, in questi casi particolarmente dolorosi che davvero prostrano le famiglie come ci testimoniano le loro stesse parole. |
3) L’ISOLAMENTO DELLA FAMIGLIA |
“Nessuno ci vuole più la domenica a pranzo…” “Ho trovato su Internet il vostro sito e ho cominciato a nutrire una nuova speranza: potrebbe essere un bambino ADHD? Non so più con chi parlare! Chi non ha il problema non può capire”. “Combattiamo da soli contro questo male, nessuno (nemmeno i frati della parrocchia) vuole essere associato al nome di mio figlio…” “Mio marito ed io non ci arrenderemo facilmente ma abbiamo bisogno di aiuto: sentiamo attorno a noi il deserto e l’abbandono più assoluti!” “Capimmo che il mondo che hai attorno ha paura della diversità, rifiuta i diversi, i problematici, gli handicappati. E’ più facile eliminare, puntare il dito, accusare, usare la cattiveria anziché tirarsi su le maniche e aiutare, comprendere, accogliere, amare, essere vicini, solidali”. |
L’emarginazione sociale del bambino si riflette inevitabilmente sulle famiglie che riducono in modo significativo le loro relazioni sociali ed i momenti di riposo, anche in contesti esterni alla loro casa. Soprattutto le madri di bambini con ADHD – secondo alcuni studi condotti da Barkley e dalla sua equipe – segnalano di avere bassi livelli di auto-stima come madri e sperimentano sentimenti di depressione, sensi di colpa ed per l’appunto un certo isolamento sociale. Secondo questi stessi studi questa forma d’isolamento sociale ha un impatto negativo proprio sull’esercizio delle funzioni genitoriali oltre che sul benessere emotivo e psicologico dei genitori stessi. |
4) COLPEVOLIZZAZIONE DELLE FAMIGLIE |
“Quando arrivo davanti alla scuola per prendere mio figlio, tutti mi guardano male, come se fosse mia la colpa del fatto che lui sia così. Eppure mio marito ed io ci amiamo e facciamo tanto per lui”. “La madre di un suo compagno di classe mi ha detto che non sappiamo fare i genitori e che non è possibile che mio figlio tutti i giorni disturba sempre il suo bambino… Vorrei scappare in un deserto e gridare…”. “Per dieci anni ho rifiutato l’idea che il problema di mio figlio fosse la sua famiglia, come invece hanno tentato di farmi credere psicologi e parentame vario, tacciandomi di non saper essere madre…”. “Io e mio marito venivamo accusati da chiunque di non saperlo educare e io dentro di me mi ribellavo di fronte a queste accuse: avevamo un’altra figlia che nel frattempo aveva finito il liceo classico, era piena di amici, era serena, estroversa, equilibrata: se fossimo stati così pessimi come genitori anche la figlia maggiore ne avrebbe risentitoLe insegnanti non hanno accettato il suo disturbo e ci hanno bollato come maleducati e chiamano lui ‘teppista’ …” “Alcuni hanno diagnosticato un disturbo del comportamento, altri hanno legato i suoi problemi alla sfera emozionale, non sono mancate esplicite anche se cortesi accuse per la nostra incapacità di genitori di darle delle regole o di aver commesso dei gravi errori di comunicazione”. Riferisce all’AIFA uno psicologo: “… Tutto quello che la scuola può offrire per far fronte alle sue difficoltà è la prospettiva in seconda media, di una bocciatura. La risposta del responsabile del servizio dell’ASL è la seguente: – Dal momento che in passato i genitori del ragazzo hanno avuto momenti di difficoltà di relazione con saltuarie separazioni, tutti i problemi scolastici sono primariamente da attribuire alla complessa situazione familiare -. Alla faccia di tutte le acquisizioni della moderna neuropsicologia. Che fare in questi casi? Come ci si può difendere da questa diagnosi del tutto infondata?”. |
Le famiglie ed in primo luogo i genitori sono oggetto di colpevolizzazione sia da parte della società sia purtroppo, ancora in molti casi, da una classe medica impreparata. La colpevolizzazione appare una caratteristica costante presente in tutte le testimonianze dei genitori, ma anche il motivo che genera in loro più di altre cause tante paure e soprattutto un senso di forte frustrazione ed incapacità. Non si vuole negare che l’ambiente soprattutto quello familiare possa incidere sulle modalità in cui si manifesta il disturbo, pur non essendone la causa diretta, ma è evidente che l’atteggiamento del medico, come osservato dal Prof. Cianchetti nell’introduzione al libro, deve essere “terapeutico , cioè d’indirizzo, di richiamo e di ricerca della collaborazione da parte del genitore”. |
L’umiltà. Essere “scientifici” significa ammettere che noi genitori, come d’altronde qualunque professionista, non possiamo conoscere tutto ciò che c’è da sapere per aiutare il nostro bambino. Proprio l’umiltà ci permette di non essere troppo sicuri su aspetti o valutazioni, per evitare di incorrere in errori o non riuscire a cogliere ed accettare nuove idee o informazioni utili. La conoscenza. Essere “scientifici” significa studiare tutto ciò che è utile per aiutare il nostro bambino. Ricordiamoci questi imperativi di Barkley: |
«Read! Listen! Seek! Question!
Find out as much as you can, reasonably, about your child’s disorder!» «Leggi! Ascolta! Cerca! Domanda! Cerca ragionevolmente quanto più è possibile sul disturbo del tuo bambino!» |
La sperimentazione. Essere “scientifici” significa, infine “sperimentare”, essere in un continuo processo di sperimentazione verso una determinata strategia o terapia e nella sua continua revisione, senza scoraggiarsi quando un esperimento dovesse fallire e sapendo utilizzare quanto si è imparato fino a quel momento per provare a risolvere il problema in un altro modo, attraverso strade diverse. Un invito molto deciso a rimboccarsi le maniche, in una prospettiva quindi radicalmente opposta a quella “colpevolista” e pertanto passiva e nichilista purtroppo ancora troppo diffusa.Nella guida ai genitori nel descrivere le qualità del genitore “Executive”, Barkley afferma: “Tu sei il manager della vita di tuo figlio”.Nell’introduzione al libro “Terapia cognitivo-comportamentale” di Braswell e Bloomquist, lo stesso Barkley afferma: “In primo luogo è mia opinione che per ottenere validi risultati nella terapia cognitivo-comportamentale si deve pensare ai principali operatori (genitori, insegnanti, etc.) di questi bambini che su base giornaliera, in una miriade di contesti e relazioni sociali, affrontano e gestiscono il comportamento impulsivo, disinibito, disattento e scarsamente regolato per il quale i bambini ADHD sono famosi. Sono questi adulti che devono divenire i terapisti di questi bambini, ponendo il clinico in un ruolo che sia di consigliere-allenatore di questi adulti”. Gli autori del libro nella loro introduzione al libro affermano: “Quanto più aumenta la nostra esperienza e il lavoro con i ragazzi più disturbati, tanto più ci convinciamo profondamente che i genitori ed altri adulti significativi nella vita del bambino (compresi i fratelli ed insegnanti) devono essere inclusi nel processo di trattamento se vogliamo che ci sia una speranza di mantenimento e generalizzazione dei cambiamenti positivi”. |
5) GLI EFFETTI SUI FRATELLI |
“Ricordo quante volte mia madre aveva portato mio fratello all’Ospedale per sottoporlo ad una serie infinita di esami psicologici e neurologici. Sono stata sempre un po’ gelosa di lui. Mia madre ha smesso di lavorare per seguirlo negli studi”. “E devo dire grazie a Laura e Giorgio che nonostante tutto hanno amato e continuano ad amare questo fratello che li ha fatti disperare tanto, che “ha rubato” loro il nostro tempo”. |
Nel nostro 2° Convegno AIFA, nella sessione dedicata alla famiglia, abbiamo approfondito attraverso le commoventi testimonianze di tre fratelli e sorelle e i risultati di un’indagine pilota promossa dalla nostra Associazione e svolta da due psicologhe dell’AIDAI, gli effetti sui fratelli di un bambino con ADHD. Senza voler qui riportare tutti i problemi emersi è stato rilevato che i genitori tendono facilmente ad individuare il disagio degli altri figli e la loro difficoltà a gestire i comportamenti dei loro fratelli, maggiormente in presenza di comorbilità dell’ADHD con il disturbo oppositivo-provocatorio e il disturbo della condotta. Fra i fratelli invece quello che emerge è un comportamento di non totale conflittualità con il fratello con una prevalenza relativamente bassa di sentimenti di rabbia o d’incapacità di sopportazione, con l’assenza di un evidente disagio o di un vissuto fortemente negativo, dati che pertanto risultano in qualche modo contrastanti con quanto è percepito dai genitori. |
6) DECISIONE DI NON AVERE PIU’ FIGLI |
ADHD un problema socialeadminaifa2021-09-04T14:48:53+02:00