ADHD un problema sociale

L’impegno concreto di un’associazione di genitori

di Enzo Aiello – gennaio 2004.


Un’Associazione come l’AIFA già esisteva nel cuore di tantissimi genitori ancor prima del suo costituirsi, in quella parte molto speciale dove i sogni nascono e attingono anche la forza e l’amore per divenire “realtà”.

L’ADHD in questi ultimi anni, anche in Italia, un ha iniziato a dimostrare di essere un grave problema sociale : ebbene, il vissuto personale di dolore di fronte a sofferenze ed emarginazioni di alcuni genitori in una sfida terribile contro l’arretratezza culturale e strutturale del nostro Paese, si è pian piano trasformato a sua volta in aiuto concreto ad molte altre famiglie.

L’AIFA rappresenta, come tantissimi genitori ci hanno testimoniato , questo miracolo di solidarietà nato dall’amore di tanti padri e madri che unisce, con gli stessi intenti e speranze come un’invisibile catena, i genitori da Ragusa ad Aosta, da Imperia a Trieste.

Grazie per questo spazio che avete costruito per noi genitori, per farci sentire meno soli nel nostro cammino…
Grazie per le parole di affetto e di speranza che sempre riuscite a trovare…
Grazie per la forza con cui lottate per l’ADHD…
Grazie perché ci siete e ciò ci rassicura…

E da genitori che ben sanno che solo l’amore fa esistere è nata questa grande famiglia dell’AIFA.

Come in ogni famiglia, prima d’ogni altra attività, ciò che veramente unisce è la felicità dello stare insieme, il sentirsi importanti l’uno per l’altro, l’aiuto fraterno nel momento di sconforto o di particolare difficoltà, anche con una parola, un abbraccio, una carezza. Ed è proprio nella forte consapevolezza di ciò che siamo l’uno per l’altro che è innestata anche la fecondità della nostra azione e la gratuità del nostro agire. In questo modo per tutti noi l’azione diventa servizio, che ci sforziamo di vivere in semplicità e trasparenza e con una particolare apertura anche verso altre iniziative e associazioni di genitori che vivono analoghe difficoltà ma animati dalle nostre stesse speranze.

Rispetto a questo grande problema che riguarda la società, l’AIFA si caratterizza particolarmente per l’opera di sostegno alle famiglie, che si è realizzata avvalendosi di una rete sempre più efficace e capillare di genitori referenti nelle varie province e regioni italiane disponibili all’ascolto e all’aiuto di altri genitori in difficoltà a causa dell’ADHD, attraverso la condivisione della loro realtà ed esperienza ed una seria opera d’informazione. Quest’opera di sostegno, che costituisce un classico esempio di quelli che sono definiti a livello internazionale gruppi di auto/mutuo aiuto procede di pari passo con un’intensa opera di diffusione e promozione delle conoscenze scientifiche sull’ADHD attraverso il sito internet, un importante punto di riferimento nel Web in lingua italiana su questo disturbo, il notiziario AIFANews, le Newsletter inviate a genitori, insegnanti, medici e psicologi, i libri e le videocassette sull’ADHD prodotte dall’AIFA, ma anche attraverso la traduzione di documenti e di testi importanti in lingua italiana, la promozione e l’organizzazione di convegni scientifici e la partecipazione attiva in molte conferenze, tavole rotonde, convegni, dibattiti televisivi e interviste.


L’ascolto delle famiglie attraverso le testimonianze

Il libro che con Raffaele D’Errico abbiamo scritto raccoglie solamente alcune testimonianze di quelle che in questi anni ci stanno quotidianamente giungendo da parte di genitori, fratelli, amici, parenti o insegnanti di bambini o adolescenti con ADHD. Esse toccano in modo particolarmente profondo il nostro cuore perché si tratta di un cuore di genitori che ha vissuto e molte volte ancora sta vivendo, pur in contesti diversi e con diverse accentuazioni la stessa realtà, gli stessi problemi e… le stesse speranze.

Queste commosse testimonianze che ci giungono da parte delle famiglie non soltanto rappresentano uno spaccato di grande efficacia dell’impatto che questo disturbo ha nella società – cosa acutamente rilevata dal Prof. Cianchetti, Presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – nella sua presentazione al libro, ma dal punto di vista umano esse rappresentano molto di più: sono un tesoro prezioso perché raccolgono come in uno scrigno i sentimenti più vivi e profondi che si agitano nel cuore di tanti genitori, fratelli, insegnanti.

Ci stiamo rendendo conto che è proprio questo impatto vivo, questo coinvolgimento umano con altre famiglie come noi, che ci sprona a proseguire pur tra mille difficoltà in questo impegno di gratuità e amore per i nostri bambini, un impegno che è anche servizio alla giustizia ed alla verità, anche quella scientifica. La lettera, la telefonata, talvolta l’incontro personale presso le nostre abitazioni ci introducono a quella realtà di sofferenza in un modo che tocca profondamente perché quella sofferenza è davvero cristallizzata in quelle parole, in quello sguardo, tante volte in quell’abbraccio che tanto consola. Ogni caso così corrisponde ad un volto, ad una storia particolare, ad una parola che ci ha colpito, ad un abbraccio che ti rimane impresso nel cuore.

Ebbene a partire da queste testimonianze vorrei proporvi prima alcuni di questi sentimenti che da esse emergono, come la gioia, la sofferenza, la speranza, la rabbia, la gratitudine, perché sono proprio questi sentimenti, questi stati d’animo che ci permetteranno di comprendere fino in fondo l’impatto sociale dell’ADHD, cioè le situazioni reali in cui vengono a trovarsi le famiglie, la scuola, e conseguentemente più in generale la realtà sociale, a causa di questo disturbo.

Si tratta soltanto di un piccolo campionario di stati d’animo che in momenti diversi e con diverse sfumature quasi tutti noi genitori abbiamo sperimentato. Vi faremo riferimento con alcuni flash tratti da lettere e telefonate che ci stanno giungendo copiose ormai da oltre due anni.

La sofferenza. “Vedo che è lui il primo che soffre”… Noi genitori viviamo in pieno la sofferenza del nostro figlio, bambino o adolescente, rendendoci conto di quali difficoltà incontri il nostro figlio nella relazione sociale, con i compagni e gli amici, nella scuola, con i fratelli. E’ una sofferenza che è legata alla sofferenza del figlio e solamente secondariamente alle difficoltà incontrate oggettivamente quotidianamente nei vari contesti. Quando si ama la sofferenza della persona amata diventa anche la nostra: quanto è più vero questo quando si tratta dei nostri figli.

La frustrazione. “Anni di psicoterapia senza nessun risultato!”. La frustrazione è il sentimento che spesso assale i genitori che si rendono conto che tutti i loro sforzi e tutte le strade perseguite fino ad allora non sono state in grado di fornire anche il minimo risultato e che ancora non vedono prospettive di un qualche miglioramento per i loro figli. Tanti rimedi si rivelano troppo spesso inefficaci ancorchè perseguiti in modo costante per anni. E’ il sentimento che emerge anche quando si percepisce di non poter concretamente lavorare per il miglioramento delle condizioni del proprio bambino.

L’inadeguatezza e l’impotenza. “Quale percorso va seguito per diventare un genitore adeguato di un bambino (ormai quasi ragazzo) ADHD?… Noi genitori oltre ad accompagnare nostro figlio in questo percorso, cosa possiamo fare per evitare di sentirci a volte alle stelle e altre volte depressi o meglio la vostra esperienza cosa vi fa consigliare a chi come noi è solo all’inizio della via?”. Di fronte alle mille difficoltà quotidiane ci si sente inadeguati, incapaci , impotenti ad affrontare le mille battaglie, contro il marito che non vuole ammettere il disturbo del proprio figlio o se ne disinteressa, con i figli che non accettano la disabilità del fratellino o della sorellina, con le famiglie d’origine che non mancano occasione per esprimere la propria opinione sui metodi educativi, con la scuola talvolta impreparata, talvolta insensibile in alcuni docenti a problemi che non conoscono, con i genitori dei compagni che accusano apertamente o evitano d’incontrarti e men che mai d’invitare ad una festa il tuo bambino.

La rabbia. “Certo il fatto che trovo vergognoso e che mi da’ una rabbia grande è che una cosa così non è giusto venirla a sapere nell’ambito di una festicciola per ragazzi, in un incontro fortuito con una persona splendida ma che ufficialmente è solo una mamma (e che mamma!) e non un medico…” E ancora: “Che rabbia sapere che nella nostra regione non c’era nessuno in grado di porre questa diagnosi!”. E’ un sentimento che talvolta emerge in quei genitori che da troppi anni lottano e che per puro caso o comunque dopo troppo tempo vengono a conoscere del disturbo del loro bambino… Recentemente una mamma ci ha scritto: “Sono dieci anni che so che mio figlio soffre di ADHD e che combatto da sola in Italia con medici ignoranti e del tutto incapaci… Non so quante terapie inutili e quante frustrazioni… Nel mio paese si cura questa malattia da più di 25 anni!”.

La speranza. “Finalmente la prima diagnosi : ADHD e dislessia! Capite non è più colpa mia! Non è colpa di noi genitori! Finalmente qualcuno si piega su di noi, ci accarezza e ci dice: -E’ un disturbo congenito del bambino! – Ma non è finito qui. Sappiamo che questo è solo l’inizio ma, finalmente a Luigi e a noi è data una grande possibilità… Oggi Luigi compie 12 anni ma possiamo dire che solo adesso sta nascendo!”. La diagnosi rappresenta un momento di svolta ed introduce i genitori nei sentieri della speranza. I sentimenti negativi precedenti sembrano improvvisamente svanire e le forze magicamente ritornare.

La gioia. “La gioia è così grande che volevamo dividerla con chi ha reso possibile tutto questo, volevamo condividere con voi questa nostra grande gioia…”. E ancora: “E’ impossibile immaginare la nostra gioia dopo aver ricevuto dalla scuola proprio in questi giorni la pagella di nostro figlio e vedere il ‘miracoloso’ cambiamento avvenuto in soli due mesi…”. E’ il sentimento che pervade i genitori quando dopo essere approdati ad una diagnosi verificano l’efficacia, spesso immediata, della terapia (questo effetto è tanto più evidente quando inizia il trattamento farmacologico): è un sentimento che spesso è associato alla meraviglia di poter verificare in così breve tempo così drastici miglioramenti. E’ anche un sentimento che più degli altri i genitori tendono a condividere con chi è stato vicino loro nel cammino, nei dubbi, nell’incertezza, nelle scelte.

La gratitudine. “Volevo ringraziarvi per tutte le informazioni che sono riuscita ad avere da voi: mi avete indicato la strada tanto cercata. Vi scrivo per farvi sapere la mia disponibilità nel contribuire a questo progetto a favore di questi bambini”. E ancora: “Oggi non possiamo fare a meno di lottare al fianco di tutti quei bambini e quei genitori che a causa di questa turba soffrono l’isolamento e l’abbandono”. E’ il sentimento che ha permesso anche la crescita dell’AIFA: i genitori che hanno ricevuto consigli, attenzione e sentimenti di amicizia da parte di alcuni genitori, sentono l’obbligo a loro volta di aiutare l’Associazione divenendo referenti e vivendo a loro volta i sentimenti di gratuità che la animano.

Il perdono. “Come genitori stiamo sperimentando anche l’importanza del perdono nei confronti di chi nel contesto sociale, senza rendersene conto, etichetta o stigmatizza o peggio ancora emargina”. E’ una dimensione del cuore fondamentale che si raggiunge nel tempo. E’ uno dei principi-guida che Barkley consiglia ai genitori, forse il più difficile da realizzare. Il perdono deve riguardare non soltanto gli altri ma anche e principalmente se stessi. In molte delle nostre risposte ai genitori affermiamo con forza che non dobbiamo farci assalire da sensi di colpa, ma dobbiamo considerare le cadute e gli errori come occasione straordinaria per fare meglio con il nostro bambino, migliorando contemporaneamente noi stessi.


L’impatto sociale dell’ADHD: la realtà di sofferenza in vari contesti e situazioni

La nostra personale esperienza e quella che quotidianamente viviamo a contatto con le famiglie ci hanno fatto affermare in molte occasioni che il disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività mette in crisi le nostre famiglie, i genitori, la scuola, la società, ma soprattutto lascia soffrire e relega in un mondo di emarginazione i nostri figli.

Drammi familiari in primo luogo per diagnosi non fatte in passato, terapie inefficaci e psicoterapie inutili protrattesi per anni, denunce penali e civili rivolte ai genitori a causa di gravi comportamenti dei figli nell’ambito sociale, adulti con tale disturbo non trattato nel loro passato che convivono spesso con situazioni psichiatriche talvolta gravi, peggioramento negli adolescenti dei sintomi dell’ADHD con l’aggiungersi nel tempo di disturbi di condotta, depressivi o ansiosi, matrimoni falliti a causa dello stress generato dal disturbo, gravi conseguenze indotte nei fratelli e tanto tanto altro ancora costituiscono le testimonianze che ascoltiamo quotidianamente da oltre due anni di lavoro della nostra associazione.

Ma converrà procedere con ordine ed analizzare sia pur velocemente alcuni ambiti che la nostra esperienza di associazione ha potuto verificare essere molto pesanti ed in qualche modo devastanti.

1) LA SOFFERENZA DEL BAMBINO, DELL’ADOLESCENTE, DELL’ADULTO ADHD

“Non reggo più soprattutto perché vedo che è lui il primo che soffre… in quest’ultimo periodo è troppo nervoso; da parecchio tempo dorme male e si sveglia con le occhiaie”.

“…Il disturbo non è quello arrecato a me e alle maestre, ma nell’angoscia di un bambino che non riesce a trovare requie, che si sente sempre fuori luogo e a disagio perché non sa comportarsi come gli altri, che è intelligente e si rende conto che il suo comportamento è inadeguato ma che non riesce a fermarsi…”.

“…Quando era il momento di fare i compiti, di leggere o scrivere a casa, si scatenavano le grandi disperazioni, al punto che lui stesso picchiava la testa sulla scrivania e piangendo mi chiedeva perché fosse nato “fatto male”.

“Tornava da scuola piangendo perché, pur volendo, non riusciva a scrivere l’assegno sul diario, a finire i compiti in classe, ad ascoltare”.

E’ fondamentale rendersi conto che la prima ricaduta sociale di questo disturbo è proprio la sofferenza che prova il bambino e l’adolescente che con un’alterazione neurobiologica non è in grado di selezionare gli stimoli, di pianificare le proprie azioni e controllare i propri impulsi. L’ADHD appare una malattia invisibile (al punto da indurre ancora molti a non considerarla reale) che si manifesta attraverso una grave alterazione comportamentale per cui i bambini non riescono a riflettere prima di agire,ad aspettare il proprio turno, a posticipare gratificazioni (sempre l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani). E’ la sofferenza di un bambino o un adolescente in qualche modo inabile che sa, già prima d’iniziare a svolgere un compito, di “non essere in grado”.

Per meglio tentare di comprendere queste enormi difficoltà del bambino e tentare di assumere la giusta prospettiva, è molto significativo anche guardare al problema retrospettivamente ascoltando le testimonianze di questi bambini una volta che iniziano la terapia adeguata. Infatti, se straordinarie sono le testimonianze dei genitori dei drastici miglioramenti dei figli quando iniziano la terapia, ancor più significative e commoventi sono le testimonianze dei bambini e degli adolescenti:

“Ho dovuto studiare per ottenere questo , non è stata la bacchetta magica…ma finalmente adesso riesco ad applicarmi e capire quello che faccio!”.

E ancora: “Mamma perché piangi?” Ed io gli ho risposto: ”Vedi Marco, oggi ho scoperto una cosa molto importante per me. Ricordi tutte le volte che mi dicevi: -Mamma, non ce la faccio, non ci riesco, non mi ricordo? Pensavo che mi prendessi in giro, ma ora ho capito che dicevi la verità!”. E lui, con espressione molto sollevata mi disse: ”Mamma, finalmente adesso lo hai capito!”.

E ancora: “Nella mia testa c’era un buco nero con un tappo, adesso il tappo se ne è andato e il buco si sta riempiendo di cose e di colori!“.

E ancora: “Sai mamma, sai papà: da quando prendo questa pillola mi sento più calmo e tranquillo, mi sento bene… Prima avvertivo dentro la mia testa una grossa confusione e tutto mi rimbombava compreso il mio nome e per questo alla fine non sapevo mai cosa fare e mi sentivo sempre agitato…”.

2) L’EMARGINAZIONE DEL BAMBINO A LIVELLO SOCIALE E SCOLASTICO

“Non riesce ad avere nemmeno un amico… e se qualcuno per sbaglio lo strattona è capace di sferrargli un pugno senza pensarci due volte; magari dopo chiede scusa e implora il perdono, ma nessuno vuole più stare con lui, nessuno più lo invita alle feste. Il parroco gli ha concesso di ricevere la Prima Comunione senza frequentare il Corso di Catechismo…”.

“E’ stato appena sospeso e non so se questo sia servito a qualcosa… E’ sempre in castigo perché infastidisce i compagni, si comporta in modo negativo pur di attirare l’attenzione…”.

Per approfondire questo aspetto ci affidiamo alle parole di Barkley nella sua Guida ai genitori, parole che ormai da tempo i ricercatori e clinici di tutto il mondo vanno confermando:

”Un bambino ADHD non è questione di tempo e tutto passerà, ma questi atomi di comportamento vanno a formare molecole di vita giornaliera e queste molecole giornaliere più grandi composti di esistenza sociale settimanale e mensile e questi composti sociali strutture e passi di una vita da giocare su più anni. Il risultato è che l’ADHD non è la distraibilità del momento o l’incapacità a svolgere il lavoro da fare quotidianamente ma un relativo scadimento nel modo in cui il comportamento si organizza e si dirige verso il futuro della vita”.

E’ questa profondissima realtà che ci fa capire che i bambini, gli adolescenti e gli adulti affetti dal disturbo soffrono per l’incapacità di adattarsi alle domande della vita sociale e perché in molti casi non riescono a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti: l’emarginazione è la naturale conseguenza di tutto ciò.

Quando l’ADHD si presenta associato al disturbo oppositivo-provocatorio o a disturbi della condotta (tali comorbilità sono presenti fino al 30-40% e più), questa realtà di emarginazione e di sofferenza si approfondisce ulteriormente e diventa gravida di conseguenze a livello scolastico e a livello sociale.

Non contiamo oramai più le testimonianze di genitori che ci raccontano del loro figlio che cambia frequentemente scuole e che comunque continua ad avere terribili rapporti con insegnanti e coetanei, con frequenti espulsioni da parte dei dirigenti scolastici.

Con l’età si evidenziano in questi casi anche comportamenti antisociali che comportano, in alcuni casi, denunce penali agli stessi genitori.

La nostra associazione anche attraverso l’assistenza legale svolta in spirito di gratuità da parte di un nostro amico avvocato cerca di essere particolarmente vicina ai genitori, tramite i referenti, in questi casi particolarmente dolorosi che davvero prostrano le famiglie come ci testimoniano le loro stesse parole.

3) L’ISOLAMENTO DELLA FAMIGLIA

“Nessuno ci vuole più la domenica a pranzo…”

“Ho trovato su Internet il vostro sito e ho cominciato a nutrire una nuova speranza: potrebbe essere un bambino ADHD? Non so più con chi parlare! Chi non ha il problema non può capire”.

“Combattiamo da soli contro questo male, nessuno (nemmeno i frati della parrocchia) vuole essere associato al nome di mio figlio…”

“Mio marito ed io non ci arrenderemo facilmente ma abbiamo bisogno di aiuto: sentiamo attorno a noi il deserto e l’abbandono più assoluti!”

“Capimmo che il mondo che hai attorno ha paura della diversità, rifiuta i diversi, i problematici, gli handicappati. E’ più facile eliminare, puntare il dito, accusare, usare la cattiveria anziché tirarsi su le maniche e aiutare, comprendere, accogliere, amare, essere vicini, solidali”.

L’emarginazione sociale del bambino si riflette inevitabilmente sulle famiglie che riducono in modo significativo le loro relazioni sociali ed i momenti di riposo, anche in contesti esterni alla loro casa. Soprattutto le madri di bambini con ADHD – secondo alcuni studi condotti da Barkley e dalla sua equipe – segnalano di avere bassi livelli di auto-stima come madri e sperimentano sentimenti di depressione, sensi di colpa ed per l’appunto un certo isolamento sociale. Secondo questi stessi studi questa forma d’isolamento sociale ha un impatto negativo proprio sull’esercizio delle funzioni genitoriali oltre che sul benessere emotivo e psicologico dei genitori stessi.

I genitori con bambini ADHD – secondo lo stesso studio di Barkley – dichiarano anche di avere minori contatti persino con le loro famiglie di origine e che comunque quando ci sono questi contatti sono per loro poco utili se non addirittura dannosi. Questa affermazione trova sostanziale riscontro anche nelle testimonianze che riceviamo pur con riferimento ad un contesto sociale come quello italiano diverso da quello statunitense.

4) COLPEVOLIZZAZIONE DELLE FAMIGLIE

“Quando arrivo davanti alla scuola per prendere mio figlio, tutti mi guardano male, come se fosse mia la colpa del fatto che lui sia così. Eppure mio marito ed io ci amiamo e facciamo tanto per lui”.

“La madre di un suo compagno di classe mi ha detto che non sappiamo fare i genitori e che non è possibile che mio figlio tutti i giorni disturba sempre il suo bambino… Vorrei scappare in un deserto e gridare…”.

“Per dieci anni ho rifiutato l’idea che il problema di mio figlio fosse la sua famiglia, come invece hanno tentato di farmi credere psicologi e parentame vario, tacciandomi di non saper essere madre…”.

“Io e mio marito venivamo accusati da chiunque di non saperlo educare e io dentro di me mi ribellavo di fronte a queste accuse: avevamo un’altra figlia che nel frattempo aveva finito il liceo classico, era piena di amici, era serena, estroversa, equilibrata: se fossimo stati così pessimi come genitori anche la figlia maggiore ne avrebbe risentitoLe insegnanti non hanno accettato il suo disturbo e ci hanno bollato come maleducati e chiamano lui ‘teppista’ …”

“Alcuni hanno diagnosticato un disturbo del comportamento, altri hanno legato i suoi problemi alla sfera emozionale, non sono mancate esplicite anche se cortesi accuse per la nostra incapacità di genitori di darle delle regole o di aver commesso dei gravi errori di comunicazione”.

Riferisce all’AIFA uno psicologo: “… Tutto quello che la scuola può offrire per far fronte alle sue difficoltà è la prospettiva in seconda media, di una bocciatura. La risposta del responsabile del servizio dell’ASL è la seguente: – Dal momento che in passato i genitori del ragazzo hanno avuto momenti di difficoltà di relazione con saltuarie separazioni, tutti i problemi scolastici sono primariamente da attribuire alla complessa situazione familiare -. Alla faccia di tutte le acquisizioni della moderna neuropsicologia. Che fare in questi casi? Come ci si può difendere da questa diagnosi del tutto infondata?”.

Le famiglie ed in primo luogo i genitori sono oggetto di colpevolizzazione sia da parte della società sia purtroppo, ancora in molti casi, da una classe medica impreparata. La colpevolizzazione appare una caratteristica costante presente in tutte le testimonianze dei genitori, ma anche il motivo che genera in loro più di altre cause tante paure e soprattutto un senso di forte frustrazione ed incapacità. Non si vuole negare che l’ambiente soprattutto quello familiare possa incidere sulle modalità in cui si manifesta il disturbo, pur non essendone la causa diretta, ma è evidente che l’atteggiamento del medico, come osservato dal Prof. Cianchetti nell’introduzione al libro, deve essere “terapeutico , cioè d’indirizzo, di richiamo e di ricerca della collaborazione da parte del genitore”.

Vorrei approfittare di questo aspetto con rilevanti ricadute sui genitori per tentare di ribaltare questo grave “errore”, ancora così diffusamente commesso. Personalmente ed a livello generale come Associazione non ci stancheremo mai di invitare tutti i genitori che ci contattano non soltanto a non sentirsi colpevoli e a non abbattersi ma a raccogliere l’invito del Prof. Barkley nella sua Guida a divenire genitori “principle-centered” (fondati sui principi), “executive” (con capacità direttive e di coordinazione fra le varie figure che ruotano intorno al nostro bambino) e infine “scientific” (scientifici).

Ci sembra importante a questo punto specificare quali disposizioni interiori e mentali il grande clinico americano chieda ai genitori per raggiungere quest’ultima qualità.

L’umiltà. Essere “scientifici” significa ammettere che noi genitori, come d’altronde qualunque professionista, non possiamo conoscere tutto ciò che c’è da sapere per aiutare il nostro bambino. Proprio l’umiltà ci permette di non essere troppo sicuri su aspetti o valutazioni, per evitare di incorrere in errori o non riuscire a cogliere ed accettare nuove idee o informazioni utili.

La conoscenza. Essere “scientifici” significa studiare tutto ciò che è utile per aiutare il nostro bambino. Ricordiamoci questi imperativi di Barkley:

«Read! Listen! Seek! Question!
Find out as much as you can, reasonably, about your child’s disorder!»

«Leggi! Ascolta! Cerca! Domanda!
Cerca ragionevolmente quanto più è possibile sul disturbo del tuo bambino!»

La sperimentazione. Essere “scientifici” significa, infine “sperimentare”, essere in un continuo processo di sperimentazione verso una determinata strategia o terapia e nella sua continua revisione, senza scoraggiarsi quando un esperimento dovesse fallire e sapendo utilizzare quanto si è imparato fino a quel momento per provare a risolvere il problema in un altro modo, attraverso strade diverse.

Un invito molto deciso a rimboccarsi le maniche, in una prospettiva quindi radicalmente opposta a quella “colpevolista” e pertanto passiva e nichilista purtroppo ancora troppo diffusa.Nella guida ai genitori nel descrivere le qualità del genitore “Executive”, Barkley afferma: “Tu sei il manager della vita di tuo figlio”. Nell’introduzione al libro “Terapia cognitivo-comportamentale” di Braswell e Bloomquist, lo stesso Barkley afferma: “In primo luogo è mia opinione che per ottenere validi risultati nella terapia cognitivo-comportamentale si deve pensare ai principali operatori (genitori, insegnanti, etc.) di questi bambini che su base giornaliera, in una miriade di contesti e relazioni sociali, affrontano e gestiscono il comportamento impulsivo, disinibito, disattento e scarsamente regolato per il quale i bambini ADHD sono famosi. Sono questi adulti che devono divenire i terapisti di questi bambini, ponendo il clinico in un ruolo che sia di consigliere-allenatore di questi adulti”.

Gli autori del libro nella loro introduzione al libro affermano: “Quanto più aumenta la nostra esperienza e il lavoro con i ragazzi più disturbati, tanto più ci convinciamo profondamente che i genitori ed altri adulti significativi nella vita del bambino (compresi i fratelli ed insegnanti) devono essere inclusi nel processo di trattamento se vogliamo che ci sia una speranza di mantenimento e generalizzazione dei cambiamenti positivi”.

5) GLI EFFETTI SUI FRATELLI

“Ricordo quante volte mia madre aveva portato mio fratello all’Ospedale per sottoporlo ad una serie infinita di esami psicologici e neurologici. Sono stata sempre un po’ gelosa di lui. Mia madre ha smesso di lavorare per seguirlo negli studi”.

“E devo dire grazie a Laura e Giorgio che nonostante tutto hanno amato e continuano ad amare questo fratello che li ha fatti disperare tanto, che “ha rubato” loro il nostro tempo”.

Nel nostro 2° Convegno AIFA, nella sessione dedicata alla famiglia, abbiamo approfondito attraverso le commoventi testimonianze di tre fratelli e sorelle e i risultati di un’indagine pilota promossa dalla nostra Associazione e svolta da due psicologhe dell’AIDAI, gli effetti sui fratelli di un bambino con ADHD. Senza voler qui riportare tutti i problemi emersi è stato rilevato che i genitori tendono facilmente ad individuare il disagio degli altri figli e la loro difficoltà a gestire i comportamenti dei loro fratelli, maggiormente in presenza di comorbilità dell’ADHD con il disturbo oppositivo-provocatorio e il disturbo della condotta. Fra i fratelli invece quello che emerge è un comportamento di non totale conflittualità con il fratello con una prevalenza relativamente bassa di sentimenti di rabbia o d’incapacità di sopportazione, con l’assenza di un evidente disagio o di un vissuto fortemente negativo, dati che pertanto risultano in qualche modo contrastanti con quanto è percepito dai genitori.

6) DECISIONE DI NON AVERE PIU’ FIGLI

“Ho un solo figlio di 11 anni che frequenta la quinta elementare… E’ tutta la nostra vita, una vita che ci ha piegato e chiusi anche all’idea di avere altri bambini…”.

“Sono una mamma di due gemelli di 9 anni di cui uno psicotico con ADHD. Vorrei avere consigli o sentire esperienze di altre mamme in merito al seguente argomento: come spiegare o far accettare ad un bambino ADHD l’arrivo di un prossimo figlio/a? Lui picchia con violenza già me e il gemello e non tollera niente che sia al di fuori dell’attenzione totale per lui stesso, urla, distrugge e insulta. Cosa devo fare? Chi può già aver avuto questa nuova esperienza? Vi prego datemi informazioni, perché le dottoresse che seguono il bambino mi hanno sconsigliato di andare avanti e mi hanno suggerito di rinunciare, facendomi previsioni orrende di pericolo per il nascituro e che mio figlio mi presenterebbe un conto impagabile!!!”.

La difficile gestione del comportamento di un bambino con ADHD con la presenza di altre comorbilità, la componente genetica del disturbo, rendono i genitori riluttanti all’idea di avere altri bambini. La lettera in cui la mamma ci chiedeva informazioni per valutare quanto suggerito dai medici e cioè di “rinunciare” alla vita del proprio bambino ci giunse esattamente un anno fa quando la nostra quinta bambina aveva appena compiuto 9 mesi e ci colpì profondamente. Ci veniva chiesto cosa fare e chi potesse avere avuto questa esperienza: era evidente che questa esperienza poteva averla avuta concretamente solamente chi aveva creduto nella vita fino in fondo, non chi vi aveva rinunciato. Mia moglie ed io raccogliemmo la sfida di una risposta, di un aiuto che pure ci veniva richiesto in quel “vi prego”, rendendoci conto della straordinaria delicatezza dei problemi che riguardavano non soltanto gli aspetti più intimi della coscienza, ma anche il senso ed il valore che ognuno attribuisce alla vita umana. Di seguito uno stralcio di quella nostra risposta:

”Siamo stanchi, spesso “depressi”, in certe circostanze le lacrime ci salgono agli occhi e si forma un groppo alla gola eppure… eppure ci rendiamo conto di quale grande dono , di quale dono “speciale” è il nostro Giovanni perchè attraverso lui stiamo maturando sentimenti di accoglienza, pazienza, dolcezza, dono di sé agli altri che forse mai avremmo scoperto in noi. Non saremmo quello che siamo se non ci fosse stato consegnato tra le braccia “lui”, proprio lui , con tutte le sue difficoltà, con tutti i suoi momenti di crisi, ma anche con momenti di straordinaria tenerezza che ci fanno scoprire in lui ed in noi orizzonti di sconfinata dolcezza e bellezza. E di questi tempi non è poco per noi che apparteniamo ad una “cultura” che vede il “bene”, solamente dove c’è il “normale” e il “normale” è per definizione sano, bello, intelligente! Se riceveremo il grandissimo dono di cambiare occhi e cuore scopriremo che il “bene” ed il “bello” sono dimensioni prima di tutto del nostro cuore, della nostra interiorità, del nostro percorso umano e spirituale, perchè solamente con il bene ed il bello ben vivi dentro di noi potremo poi scoprirlo anche in ciò che apparentemente “ad occhio umano” appare cosa non buona, cosa non bella.
Dicevamo di Giovanni “dono speciale” e gli altri figli? Gli altri nostri bambini? Non sono anche loro questo straordinario dono che ci ha trasformato nel profondo, ci fa essere veri, ci permette di raggiungere una forte “identità”, umana, psichica, spirituale: non saremmo quello che siamo senza di loro, e d’altro canto ognuno di loro ha bisogno dell’altro, si sa riconoscere e sviluppa una sua identità nella relazione con l’altro fratello.
“Sai mamma” – ci diceva Chiara l’altro giorno -“anche se Giovanni qualche volta mi dà una spinta, una botta, io gli voglio bene!”.
L’altra sera vedevamo Miriam vicino a Giovanni mentre l’accarezzava sulla testa. Non parliamo poi delle affettuosità che Giovanni esprime all’ultima nata, che spesso ci mettono in apprensione dati i suoi modi “impulsivi”. Tanti sono gli episodi di straordinario amore tra fratelli anche se non neghiamo che spesso si creano problemi e situazione abbastanza pesanti. Con il nostro amore di genitori possiamo però essere vicini ai nostri figli che devono “maturare” più in fretta per le difficoltà del loro fratellino: anche questa rappresenta un’occasione straordinaria di maturazione e di crescita all’interno di quel “mistero” che è la nostra vita che è poi un progetto più grande di noi, sempre difficile da decifrare, ma al quale è legato il nostro destino di pienezza e di felicità. Qualunque strada o scelta che si opponga a questo mistero d’amore a quel progetto rischia di non farci cogliere pienamente la nostra vera identità e di non farci raggiungere quella felicità e quella vera gioia alla quale siamo chiamati nella vita.Stiamo scoprendo che ogni fatto, ogni avvenimento, anche il più banale, nella ferialità quotidiana ha un significato, un valore, ha delle relazioni molto importanti con altre cose o aspetti che forse, lì per lì, non riusciamo a comprendere: tante volte questi nessi, relazioni, le scopriamo solamente dopo e ci rendiamo conto solamente allora di quanto sia stato importante quel gesto, quella parola, quell’incontro. Figuriamoci quando ad irrompere nella nostra vita, a bussare alla porta della nostra esistenza è la Vita stessa che reca con sé sempre grazie, ricchezza interiore. E’ un appuntamento a cui è impossibile “mancare”!!!”

7) LA SEPARAZIONE FRA I GENITORI

“…Poi il disastro: il nostro matrimonio sano e saldo ha cominciato a deteriorarsi: litigavamo di continuo per questo figlio ingestibile. Io accusavo lui di trascurarlo, di essere un padre assente, lui accusava me di essere troppo permissiva, di dare troppo spazio al dialogo, di non saper imporre alcuna regola. L’ingestibilità del nostro ragazzo invece di renderci alleati ci rendeva nemici… Così ci siamo separati dopo 22 anni di matrimonio con grande sofferenza”.

Il grande stress generato dal dover gestire un bambino con un disturbo comportamentale come l’ADHD, unito ai maggiori rischi di problemi personali ed emotivi nei genitori, possono logorare la relazione matrimoniale, specialmente quando il bambino presenta comportamenti oppositivi ed aggressivi particolarmente gravi.

In molte testimonianze che ci giungono si evidenziano casi in cui la madre è separata o è stata abbandonata o comunque in cui è particolarmente pesante l’assenza paterna. Spesso è proprio la componente genetica del disturbo presente in uno dei genitori ad aggravare la situazione matrimoniale: essa è identificabile nella descrizione che molte madri di bambini ADHD fanno del loro coniuge, da cui frequentemente risultano separate o divorziate. Non abbiamo studi che si riferiscono alla situazione italiana, ma negli Stati Uniti, che presenta comunque un contesto sociale e culturale differente dal nostro, è stato determinato che su un periodo di otto anni, durante il quale sono state seguite un gran numero di famiglie con bambini ADHD, i genitori hanno una probabilità di separarsi o di divorziare ben tre volte superiore rispetto ai genitori di famiglie senza ADHD.

8) TERAPIE ED INDAGINI INUTILI

“E’ cinque anni che lo accompagniamo dallo psicologo. Ha fatto tanti controlli, ha fatto la psicomotricità ed ora sta facendo un colloquio individuale con lo psicologo ma il problema c’è sempre… Il Sistema Sanitario Nazionale ci ha offerto un panorama di rimedi inefficaci…”.

Una delle segnalazioni costanti da parte dei genitori che tanto contribuisce a quel senso di grave frustrazione che abbiamo esaminato è l’aver seguito per anni terapie inefficaci ed aver svolto indagini inutili. E’ ben comprensibile inoltre l’aspetto economico sotteso se si pensa ai costi di queste terapie e di queste indagini che ricadono sulla sanità, ma anche alle ricadute non solamente economiche ma di tempo sottratto alla famiglia per quei genitori che hanno sottoposto i loro bambini, ad esempio, ad anni di psicoterapia rivelatasi inutile.

Chiunque s’interessa di ADHD si è imbattuto nello studio MTA (Multimodal Study of Children with ADHD) in cui sono stati seguiti 579 bambini con ADHD tra i 7 e i 9.9 anni di età per un periodo di quattordici mesi. Si è trattato del più grande studio mai effettuato su un disturbo psichiatrico dell’età evolutiva e venne commissionato proprio dall’Istituto Nazionale della Salute Mentale (NIMH): in questo studio sono stati confrontati, separatamente, l’efficacia di varie forme di trattamento del disturbo, non soltanto per tentare di determinare con maggiore precisione il miglior approccio terapeutico, ma anche in vista di un risparmio nella spesa sanitaria con l’individuazione dei percorsi terapeutici più indicati in relazione ai vari casi. Le varie forme di trattamento oggetto dello studio furono le seguenti:

  1. trattamento psicoeducativo e comportamentale (parent training, modificazione del comportamento e training sulle capacità sociali per i bambini, training per gli insegnanti con interventi integrati nell’ambito scolastico);
  2. trattamento esclusivamente farmacologico;
  3. trattamento combinato (farmacologico e psicoeducativo);
  4. trattamento standard di routine, ossia quello che avrebbero eseguito i pazienti sul territorio e che, per due terzi di essi, ha significato un trattamento con psicostimolanti.

I risultati di questo straordinario ed importantissimo studio, che aveva appunto lo scopo di fornire dei risultati scientificamente significativi per il raggiungimento di un chiarimento sulla sicurezza e l’efficacia dei vari trattamenti dei bambini con ADHD, hanno portato alla conclusione che il trattamento farmacologico, rispetto ai trattamenti psicoeducativi e comportamentali, è decisamente superiore nel risolvere i sintomi cardine del disturbo, ma che il trattamento combinato, soprattutto in presenza di disabilità di tipo funzionale (sintomi di oppositività, aggressività, ansia, deficit nelle abilità sociali e di relazione con in genitori) è ancora superiore. Il gruppo trattato farmacologicamente ha ricevuto, almeno inizialmente, il metilfenidato (Ritalin), che era dosato opportunamente e, in caso di mancata o inadeguata risposta clinica o comparsa di importanti effetti collaterali, sostituito con destroamfetamina, pemolina, imipramina o altri farmaci, anche questi opportunamente dosati fino al raggiungimento di una risposta ottimale.

E’ molto interessante notare che il gruppo trattato farmacologicamente abbia conseguito risultati superiori al gruppo con trattamento standard di base, in cui pure la maggior parte dei soggetti assumeva farmaci. La conclusione tratta dagli esperti, analizzando i risultati, è che un intenso e frequente controllo della risposta, con sostituzione dei farmaci quando essa risultava inadeguata, e affinamento nei dosaggi, rappresenta un elemento fondamentale per l’efficacia del trattamento farmacologico stesso.

A conclusione, è possibile allora affermare che la terapia per l’ADHD deve basarsi su un approccio multimodale che riesca a combinare interventi psicoeducativi con la terapia farmacologica, nei casi di ADHD da moderato a severo. Più precisamente, come ha dimostrato lo studio MTA, i sintomi cardine dell’ADHD, disattenzione, iperattività e impulsività, andranno gestiti, nei casi sintomatologicamente più gravi, mediante terapia farmacologica, mentre i disturbi eventualmente associati, specialmente i disturbi della condotta, dell’apprendimento, come pure i problemi d’interazione sociale, richiederanno terapie psicosociali e psicoeducative centrate sulla famiglia, sulla scuola e sul bambino.

Tutte queste conclusioni sono state recepite in pieno dalla Conferenza Nazionale di Consenso sull’ADHD svoltasi a Cagliari il 6 e 7 marzo dello scorso anno, con particolare riferimento alle Linee Guida nella diagnosi e nel trattamento dell’ADHD nell’età evolutiva. Ciò rappresenta un auspicio perché il trattamento medico sia sempre più in grado di essere da subito efficace e soprattutto che la diagnosi venga effettuata appena possibile e mai in un’età avanzata in cui incominciano ad insorgere altri disturbi che si associano all’ADHD, compromettendo in modo grave la vita successiva del ragazzo.

9) PROBLEMI IN ETA’ ADOLESCENZIALE ED ADULTA

“Ma le difficoltà scolastiche sono passate in secondo piano da quando il suo comportamento ha assunto toni preoccupanti: compagnie inadeguate e pericolose, uso di droghe leggere, una notte passata fuori casa, piccoli furti”…

“Ha avuto una pubertà precoce e un inizio di adolescenza drammatico: 40 e più sigarette al giorno, alcool, intemperanze, crisi di collera, contrasti infiniti con i professori che lo detestavano e sfogavano la loro rabbia su di noi”.

Recita l’International Consensus Statement sull’ADHD del 2002:
“L’ADHD non è un disturbo benigno. Per coloro che ne sono afflitti l’ADHD può causare problemi devastanti. Studi di controllo (follow-up) su campioni clinici riportano che i pazienti ADHD tendono più della norma all’abbandono scolastico (32-40%), a completare raramente gli studi (5-10%), ad avere pochi amici o addirittura nessuno (50-70%), ad avere uno scarso rendimento nel lavoro (70-80%), ad attivare comportamenti antisociali (40-50%) ed usare tabacco o droghe vietate più degli altri coetanei. Inoltre, i ragazzi che crescono con l’ADHD tendono ad avere esperienze di gravidanza precoce (40%) e malattie trasmesse sessualmente (16%), a parlare eccessivamente e ad avere molti incidenti automobilistici, a sperimentare la depressione (20-30%) e disturbi della personalità da adulti (18-25%) e in centinaia di altri modi gestire male e rovinare la loro vita”.

Questi dati sono impressionanti se si pensa che riguardano soggetti diagnosticati ed in qualche modo quindi seguiti e curati (con campioni in cui erano presenti anche comorbilità con disturbi della condotta). Questi dati ci sono stati confermati nel nostro 2° Convegno AIFA dalla Prof.ssa Fischer autrice, insieme con Barkley, di moltissimi studi di follow up su adolescenti seguiti fino all’età adulta. Essi dovrebbero essere profondamente meditati da tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo con la sfida posta alla società da questo disturbo e possono far ben comprendere l’impatto sociale in tutti quegli ambiti e quei contesti ove l’ADHD con le eventuali comorbilità rimane ancora non diagnosticato e trattato.

10) GLI ADOTTATI

“Alessandro è stato trovato che aveva all’incirca un anno di vita, abbandonato sotto una panchina del dispensario delle Suore Salesiane di un piccolo paese di Haiti…”

“Siamo i genitori di due bambini russi adottati a quattro e cinque anni e che oggi hanno rispettivamente nove e dieci anni. Il nostro incontro con Andrea è stato un continuo rincorrersi e non possiamo certo dire che ad oggi la corsa non sia ancora terminata! Sul suo certificato anamnestico c’era scritto: ‘Vivace e distratto’, e così era descritto anche dalle maestre dell’orfanotrofio…”

“Siamo una coppia di genitori che oltre ad una propria figlia naturale ha adottato 7 anni fa Nadia da Volgograd tramite adozione internazionale. A quel tempo Nadia aveva 2 anni e mezzo. Ci siamo trovati in seria difficoltà oltre che per gli atteggiamenti provocatori di nostra figlia anche per l’instabilità motoria a dir poco allucinante. Nadia era mossa da un’incredibile attività muscolare paragonabile a quella di una “scimmietta” in perenne movimento”.

La presenza di una maggiore incidenza dell’ADHD e di forme comorbide (specialmente di disturbi della condotta) tra i bambini ed i ragazzi adottati è un argomento che incomincia ad essere oggetto di studio. Nel nostro sito, grazie all’iniziativa di alcuni nostri referenti, genitori di bambini adottati, si è iniziato ad approfondire questo aspetto sociale dell’ADHD attraverso le loro commoventi e straordinarie testimonianze ma anche attraverso l’approfondimento degli studi attualmente disponibili su questo particolare argomento.

Oltre alla forte componente ereditaria nel caso dei bambini adottati si associano con maggiore frequenza anche fattori sociali, di privazione affettiva nei primi anni di vita, di prematurità alla nascita che costituiscono, sovrapposti, importanti fattori di rischio per lo sviluppo dell’ADHD.

I genitori dei bambini adottati ci stanno donando una straordinaria testimonianza della forza dell’amore che li spinge a lottare per queste loro creature, a cercare le migliori terapie, a sognare per loro un futuro sereno e tranquillo. Un esempio meraviglioso di paternità che conferma che un bambino incomincia ad esistere non quando è generato fisicamente, ma quando è amato. “E’ l’amore che fa esistere!”.


Ulteriori aspetti dell’impatto sociale dell’ADHD

Prima di concludere vorrei segnalare due grandi capitoli dell’ADHD poco trattati e conosciuti, che si pongono su poli estremi , e non solo temporalmente, e che tuttavia hanno considerevole incidenza nella grande “galassia dell’ADHD” e nelle conseguenze sociali: l’ADHD in età adulta e l’intervento precoce.

L’ADHD IN ETA’ ADULTA

“Ho contattato recentemente tramite e-mail il dott.(…) per l’ADHD. Ho brevemente descritto la mia storia psichiatrica sperando di avere un aiuto ma mi è stato risposto con un certo disinteresse, senza un minimo di cortesia per una persona che soffre e chiede umilmente aiuto perché sia il dott… sia il dott…. non si occupano di pazienti adulti e non mi hanno fornito alcun altro suggerimento (io ho 30 anni). Le domande che vorrei porvi sono: i diritti alla cura per la sindrome ADHD o altre correlate valgono solamente quando i medici si interessano? Se i diritti alla cura valgono per i bambini non dovrebbero valere anche per le persone adulte? Non esistono medici che possano dare un consulto anche per le persone adulte?”

Ci scrive una referente: “Qualche giorno fa mi ha telefonato una famiglia di Torino che mi ha raccontato la storia della loro figlia di 27 anni, delle sue fughe, dei suoi furti, finita due volte in prigione, imbottita di psicofarmaci per tenerla tranquilla…”

Nella nostra esperienza quotidiana di ascolto registriamo con maggiore frequenza la segnalazione di adulti che sulla base dei loro ricordi dell’infanzia e delle loro condizioni attuali sospettano su loro stessi una condizione di ADHD mai diagnosticata e curata, come ben evidenzia la prima lettera. Ma l’incidenza maggiore di adulti con ADHD la si riscontra proprio nella descrizione che molte madri di bambini ADHD fanno del loro coniuge, da cui frequentemente risultano separate.

E’ quindi importante che anche in Italia si inizi a parlare e soprattutto ad affrontare anche questo argomento almeno per due ordini di motivi: il primo perché capita di frequente che un genitore di un bambino ADHD abbia lo stesso disturbo, il secondo perché partire dalla consapevolezza che molti bambini ed adolescenti diagnosticati e trattati per l’ADHD possano continuare a vivere con questo disturbo permette anche di prevedere per loro un particolare piano terapeutico con visite di controllo nel corso degli anni.

In realtà non disponiamo di dati veramente attendibili sulla prevalenza dell’ADHD in età adulta. Una stima può essere effettuata a partire dalle prevalenze riscontrabili nell’età evolutiva e dalla stima dei bambini che continuano a presentare l’ADHD in età adulta (variabile a seconda degli studi dal 30% al 70%). Considerando che la prevalenza nell’infanzia ed adolescenza si aggira tra il 2 e il 4% è possibile stimare la prevalenza degli adulti con ADHD tra lo 0.5-0.6% ed il 2.8-3%.

Una sintomatologia che si “trasforma”, differente rispetto a quella presente nell’infanzia e nell’adolescenza, la difficoltà a determinare una storia ben precisa di ADHD nell’infanzia, la presenza di altri disturbi in diagnosi differenziale come disturbo depressivo, bipolare, alcolismo, disturbo della condotta che potrebbero appunto mimare la sintomatologia dell’ADHD, la presenza di disturbi dell’apprendimento associati sono solo alcuni dei gravi problemi che si pongono nella fase diagnostica dell’ADHD in età adulta, evidentemente ancor più complessa di quella in età evolutiva.

Le molte segnalazioni che giungevano all’Associazione mi hanno indotto lo scorso anno alla traduzione di un importante capitolo sull’ADHD tratto da un volume monografico sull’ADHD della collana “Child and Adolescent Psychiatric Clinics” di Larry Silver: il documento pubblicato sul sito dell’AIFA è stato molto apprezzato, ma evidentemente questo rappresenta solamente l’inizio di un serio impegno anche in questa direzione.

Questi rilevanti aspetti sociali che viviamo come Associazione e la elevata prevalenza del disturbo anche in età adulta ci hanno indotto a segnalare anche il grave problema dell’ADHD in età adulta nel Comunicato AIFA indirizzato il dicembre scorso al Ministero della Salute, al Consiglio Superiore della Sanità , all’Istituto superiore della Sanità e alla SINPIA, nell’ambito della richiesta di attivazione di Centri di riferimento di diagnosi e terapia dell’ADHD anche alla luce delle conclusioni della Conferenza Nazionale di Consenso di Cagliari.

L’INTERVENTO PRECOCE

“Mio figlio Francesco ha 11 mesi e la pediatra ha richiesto una visita neurologica per iperattività…”

“Sono insegnante elementare da 15 anni, ho lavorato alla scuola materna e in asili nido pubblici e privati, ho parecchia esperienza e credo che il mio bimbo sia “particolarmente agitato”. Dopo i diciotto mesi ha cominciato a tirare fuori la sua vivacità, si arrampicava sulle inferriate, saliva sui mobili, non conosceva il pericolo. Era un’agitazione continua…”

I clinici sono concordi nel ritenere che alcuni sintomi del disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività emergono in modo caratteristico già in età prescolare. Un argomento di grande rilevanza che sta interessando molti studiosi è quello appunto dell’identificazione e dell’intervento precoce in questa fascia d’età. In sostanza si cerca di comprendere se un intervento precoce in bambini che mostrano segni di “rischio” per lo sviluppo dell’ADHD possa prevenire l’insorgenza dello stesso disturbo in età successiva o comunque ridurne la gravità di alcuni o tutti i sintomi. In realtà si è visto che un’identificazione ed un intervento precoce possono realmente diminuire le difficoltà successive comunemente osservate nei bambini con ADHD, compresi i problemi di relazione con i coetanei, di autostima, di disturbi della condotta e di scarso rendimento scolastico. Secondo la letteratura scientifica i sintomi dell’ADHD incominciamo a manifestarsi precocemente con un’età media d’insorgenza tra i 3 ed i 4 anni (Barkley 1990) e tra i 4 e i 5 anni (American Psychiatric Ass. 1994).

In realtà non può essere ragionevolmente effettuata una diagnosi di ADHD prima dei 6 anni perché giustamente si teme che tali sintomi possano rientrare in quei livelli di eccitabilità ed esuberanza che si manifestano normalmente in età prescolare. In questa fascia d’età sono considerati fondamentali i programmi d’intervento rivolti ad aiutare principalmente i genitori a comprendere i comportamenti del bambino e ad acquisire strategie di gestione del comportamento. L’obiettivo principale del parent-training in questa fascia d’età è quello di aiutare i genitori ad assistere il loro bambino nella gestione del suo comportamento. Anche altri studi confermano che sia i genitori sia i bambini possono trovare grandi benefici nel parent-training: la riduzione del numero e dell’intensità dei comportamenti problematici osservati nei bambini con ADHD aumenta l’autostima del bambino che ha un effetto sui genitori che a loro volta sperimentano una riduzione dello stress, una migliore autostima come genitori, tutti fattori che a loro volta migliorano in generale la qualità delle interazioni tra genitori e bambino. E’ abbastanza consolidata l’evidenza che la gestione comportamentale da parte dei genitori in bambini di questa fascia d’età sia particolarmente efficace proprio quando esiste un comportamento oppositivo da parte del bambino. Questa forma di trattamento ha una grande efficacia sull’oppositività ed un lieve o moderato effetto sui sintomi cardine dell’ADHD. Da questi elementi che ci sono forniti dagli studi a livello mondiale (ancora pochi) e dall’intervento del Prof. Sonuga-Barke (che partecipò all’importantissimo convegno di Cagliari del 4 ottobre 2002) è facile comprendere come gli sforzi dei genitori, dei medici e della scuola già nella periodo della scuola materna dovrebbero tenere conto di queste importantissime indicazioni operative.

Gli approcci della terapia cognitivo-comportamentale da parte degli psicologi dovrebbero specializzarsi per fornire questo supporto ai genitori dei bambini anche in questa fascia d’età. Anche se un serio inquadramento diagnostico non si può fare prima dei sei anni, ciò non vuol dire che non si possa fare nulla in tutti quei casi in cui i bambini che già in età prescolare presentano evidenti segni di iperattività e forte oppositività.

L’ADHD E I MASS MEDIA

Questo argomento coinvolge moltissimo noi genitori trattandosi di “un disturbo di cui i mass-media parlano spesso, fornendo spesso, come accade non di rado, notizie in gran parte inesatte e talora decisamente errate” (dalla Presentazione del Prof. Cianchetti al libro “Vorrei scappare…”).

Quello che vorrei sottolineare è che troppo spesso è accaduto che articoli e trasmissioni televisive hanno causato incalcolabili danni sia rispetto ad una corretta presentazione del disturbo dal punto di vista scientifico, sia nei confronti dei bambini e delle famiglie che quotidianamente vivono sulla loro pelle questo disturbo. Non starò qui a precisare le innumerevoli volte nelle quali, assolutamente inascoltati anche in relazione alle rettifiche richieste, siamo intervenuti come genitori per replicare a questi articoli e trasmissioni. Vorrei soltanto sottolineare come nel nostro Notiziario, nell’ambito di una rubrica, stiamo stimolando a praticare un serio esercizio “critico” nei confronti di quanto ci viene proposto dai mass media sull’ADHD attraverso due criteri di valutazione che riteniamo validi ed importanti in un contesto così delicato come quello dell’ADHD: quello che ci suggerisce una giornalista che da molti anni sta affrontando lo studio di questo disturbo e le sue ricadute sociali e quello di uno dei clinici più importanti al mondo. Nell’articolo di Lucia Ascione “Ruolo dei mass-media nella conoscenza dell’ADHD” – pubblicato nel n.ro 0 di AIFANEWS -, la giornalista esordisce:

“Su un autorevole settimanale italiano è stato pubblicato un articolo nel quale l’ADHD veniva spacciato come un meschino trucco per vendere pillole – psicofarmaci – a bambini che non si volevano tra i piedi. Lo avevo messo da parte e custodito gelosamente perché mi ricordasse come non dovessi mai esprimere giudizi gratuiti ed errati nei miei ‘pezzi’, soprattutto quando trattassero di argomenti a forte ricaduta sociale”…”

Nel già citato International Consensus Statement on ADHD il Prof. Barkley sottolinea:

“… siamo profondamente preoccupati per la costante e in accurata presentazione fornita dai mass-media sul Disturbo da Deficit d’Attenzione ed iperattività. […] Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l’ADHD non esiste sono poste a confronto con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinioni potessero godere eguali meriti”.

Sia la sensibilità rispetto ad un disturbo con gravi ricadute sociali quale l’ADHD, sia l’autorevolezza degli autori o delle fonti e del modo in cui sono riportate costituiscono due criteri necessari e fondamentali per la valutazione di quanto ci propone il mondo dei mass-media. Ho partecipato ad un convegno di media-training nel quale veniva in qualche modo insegnato come rapportarsi con il mondo dei giornalisti. Ho imparato tante belle cose ma ho avuto l’impressione netta che le regole del gioco sono univocamente imposte dalla stessa realtà dei media: o ti adegui alle loro regole o sei fuori. Questo potere in realtà è tanto più grande ed in qualche modo assoluto nella misura in cui il lettore o l’ascoltatore sono privi di chiavi interpretative o criteri di valutazione di quanto sostenuto, detto o riportato. Fornire dei criteri semplici che sappiano coniugare umanità e razionalità significa rendere il fruitore della notizia più consapevole e più critico: l’AIFA anche con i suoi piccoli mezzi sta facendo la sua parte per l’ADHD proprio in questa prospettiva di formazione.

Un’ultima considerazione: i media trainer hanno un bel dire: “I genitori si limitino alla loro testimonianza, senza invadere il campo dei medici”… Questo sarebbe vero in una condizione di “normalità”. Ebbene di fronte a tante “idiozie” che si sentono e a tante affermazioni in totale mala fede che stanno caratterizzando i media in questi ultimi quattro anni in cui si è incominciato a parlare di ADHD, in mancanza di chi con forza ed autorevolezza si sia efficacemente opposto ad esse riportando la verità dei fatti, noi genitori siamo stati costretti ad intervenire. In una situazione di vuoto, siamo stati costretti dalle circostanze ed in qualche modo legittimati ad oltrepassare quei confini che in una situazione “normale” come genitori non dovremmo varcare, affrontando questi temi spesso proprio negli aspetti più propriamente scientifici sulla base della letteratura scientifica mondiale.