ADHD IN ETÀ ADULTA

di Larry B. Silver
Department of Psychiatry
Georgetown University Medical Center, Washington, District of Columbia

tratto da Child and Adolescent Psychiatric Clinics – ADHD – Vol. 9 n.ro 3 Luglio 2000
Traduzione di Enzo Aiello

Il punto di vista clinico attualmente accettato è che molti bambini o adolescenti continueranno ad avere l’ADHD da adulti.


Questo punto di vista non è stato sempre accettato. Sebbene vi sia un numero sempre maggiore di libri e studi clinici pubblicati sull’ADHD in età adulta, il più recente Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, IV edizione, non presenta uno specifico protocollo sull’ADHD in età adulta.
Anche se questa serie di testi clinici (la Child and Adolescent Psichiatric Clinics) si focalizza su bambini e adolescenti, è corretto introdurre un articolo sull’ADHD in età adulta per numerose ragioni.
In primo luogo non è infrequente per un genitore di un bambino ADHD avere lo stesso disturbo, per cui è importante riconoscere i comportamenti rilevanti e definire una diagnosi.
In secondo luogo, sapere che molti dei bambini e adolescenti che sono trattati per ADHD continueranno ad avere il disturbo in età adulta, aiuta nella pianificazione clinica e vincola alle visite successive (follow-up).

 

LA STORIA DEL DISTURBO ADHD NEGLI ADULTI

Il più antico riconoscimento formale del quadro clinico ora identificato come ADHD era l’inclusione dei comportamenti di iperattività, distraibilità e impulsività sotto il termine di disfunzione celebrale minima (minimal brain dysfunction MBD).

Nel 1966, in una pubblicazione sponsorizzata a livello federale sulla terminologia e identificazione del MBD veniva citata la seguente definizione: “Bambini con intelligenza intorno alla media o sopra alla media con alcune disabilità di apprendimento o comportamento che variano da lievi a gravi che sono associate con variazioni della funzionalità del sistema nervoso centrale. Queste variazioni possono manifestarsi per effetto di varie combinazioni di riduzione della percezione, concettualizzazione, linguaggio, memoria e controllo dell’attenzione, impulsività o funzione motoria”. La possibilità che l’MBD potesse continuare in età adulta non era menzionata.
Una conferenza nel 1979 comunque menzionò questa possibilità.
Il concetto dell’MBD raggruppava una combinazione di disturbi che oggi sarebbero diagnosticati separatamente come disturbi dell’apprendimento, ADHD e problemi secondari di tipo emotivo, sociale e familiare. Attualmente il termine MBD non è più usato ed ogni componente è identificata separatamente.

Il riferimento al controllo dell’attenzione, dell’impulsività e della funzione motoria fu segnalato per la prima volta nella letteratura diagnostica ufficiale del DSM-II. Fu usato il termine reazione ipercinetica dell’età evolutiva. Questo disturbo era caratterizzato da “iperattività, irrequietezza, distraibilità e tempi ridotti di attenzione”. La presenza di questo disturbo in età adulta non era menzionata.
La terza edizione del manuale pubblicato nel 1980 cambiò il nome della turba in “disturbo da deficit di attenzione” o ADD per sottolineare che la distraibilità e la scarsa capacità attentiva erano gli aspetti clinici di primaria importanza, benchè anche l’iperattività e l’impulsività potevano essere presenti. L’aspetto della continuità in età adulta era riferito indirettamente.

Una nuova categoria diagnostica venne inclusa ed indicata come disturbo da deficit d’attenzione, di tipo residuo. Questa categoria era utilizzata per quei soggetti che una volta rientravano nei criteri dell’ADD con iperattività.
I criteri indicavano che sintomi di iperattività potevano non essere più presenti ma che altri segni del disturbo potevano permanere senza periodi di remissione. Questa nuova categoria non includeva soggetti che avevano l’ADD senza iperattività e che continuavano ad avere l’evidenza del disturbo da adulti. Quindi soggetti che erano soltanto distraibili, la cui distraibilità continuava in età adulta non risultavano inclusi.

La terza edizione del manuale riveduta fu pubblicata nel 1987 e il termine ADD fu cambiato in Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD). I criteri di questa edizione non stabilivano che questa diagnosi non andava usata in età adulta; nessun termine diverso venne usato per descrivere ciò che veniva chiamato residual type. Fu sollevato il dubbio su una forma da adulti del disturbo e il commento che venne fatto fu il seguente: “È necessaria la ricerca per determinare se questa è una valida categoria diagnostica e, in questo caso, come va definita”.

La più recente quarta edizione del manuale fu pubblicata nel 1994, dove il termine Attention Deficit Hyperactivity Disorder continua ad essere usato. I criteri sono modificati e l’aspetto principale è posto sulla inattenzione piuttosto che sulla distraibilità. Nessun riferimento è fatto sulla forma in età adulta di questo disturbo.
Data la definizione e i criteri, comunque, è possibile diagnosticare un adulto con ADHD se il soggetto dimostra una storia cronica e pervasiva di iperattività, inattenzione ed impulsività.

Gli studi più vecchi provarono ad identificare gli adulti che avevano l’ADHD. Ognuno di questi utilizzò studi retrospettivi su bambini con l’ADHD. I successivi studi di follow-up si incentrarono sugli esiti clinici e su un’eventuale comorbilità con altri disturbi psichiatrici.
Numerosi studi di follow-up nei dieci anni passati segnalano che tra il 30% e il 70% dei bambini che ha avuto l’ADHD continua a mostrare gli stessi comportamenti in età adulta.
Altri studi si focalizzarono direttamente sugli adulti piuttosto che sugli studi retrospettivi; uno dei più vecchi di questi studi diretti fu fatto da Wood ed altri 34 ricercatori che studiarono gli adulti con una lunga storia di impulsività, disattenzione, irrequietezza, collera e labilità emotiva. Un sottogruppo di questi soggetti i cui genitori li descrissero come bambini iperattivi fu trattato con metilfenidato. Il 60% migliorò. Conclusero empiricamente che “in alcuni soggetti le anormalità biologiche viste nell’ADD della fanciullezza continuavano in età adulta”.
Lo stesso team fece un altro studio usando dei criteri clinici più esatti dal punto di vista operativo per la diagnosi di ADD in età adulta. Svilupparono i Criteri Utah che si proponevano di stabilire una storia pregressa di ADD in aggiunta ad un’evidenza attuale dei comportamenti ADD. Il soggetto doveva rientrare nei criteri ADD della fanciullezza. In aggiunta, i criteri di inclusione per gli adulti stabilivano che il soggetto doveva avere quattro delle seguenti caratteristiche, una delle quali deve risultare significativa:

1. iperattività motoria persistente dalla fanciullezza
2. deficit attentivo persistente dalla fanciullezza
3. labilità affettiva
4. incapacità a terminare compiti
5. temperamento eccitabile ed esplosivo
6. relazioni interpersonali scadenti o incapacità a mantenere relazioni nel tempo
7. impulsività
8. insofferenza allo stress

Altri utili protocolli diagnostici includono il Protocollo del Medical Center dell’Università del Massachusetts e la Scala Brown ADD.
Quanto più vengono svolti studi su adulti con ADHD, tanto più diventa chiaro che, come nel caso dei bambini e degli adolescenti, esiste un’alta incidenza di altri disturbi comorbidi, che sono discussi di seguito in questo articolo.

 

PREVALENZA DELL’ADHD IN ETÀ ADULTA 

Nessun dato accurato è disponibile sulla prevalenza dell’ADHD in età adulta. Per un verso i diversi nomi e i criteri diagnostici, per l’altro la controversa esistenza del disturbo negli adulti, rendono difficile venire in possesso di dati validi. C’è un simile problema nello stabilire un valore preciso sulla prevalenza dell’ADHD anche tra i bambini e gli adolescenti. La stima attuale dell’ADHD si aggira tra l’1% e il 5% tra i giovani. Come notato precedentemente la stima attuale è che tra il 30% e il 70% dei bambini con ADHD continuerà ad avere l’ADHD in età adulta. Se si effettua una stima a partire dai dati in età infantile ed adolescenziale, il numero degli adulti con ADHD potrebbe variare dallo 0.30% al 3.5% della popolazione adulta.
È egualmente difficile ottenere dati sulle differenze di prevalenza per sesso tra gli adulti e nulla può ad oggi essere citato al riguardo. Si concorda in modo generalizzato che più i bambini che le bambine abbiano le forme combinate e quelle iperattive ed impulsive dell’ADHD. Non è chiaro se ciò sia anche vero con gli adulti.

 

IL QUADRO CLINICO DEGLI ADULTI CON ADHD 

Contesto di riferimento. Molti adulti si recano da un professionista della salute mentale a motivo di problemi emozionali comportamentali o interpersonali. Molti di questi professionisti che lavorano con gli adulti non hanno familiarità con l’ADHD e quindi non considerano tale diagnosi durante la loro valutazione. Per queste ragioni molti adulti con ADHD che pure dovrebbero essere identificati come tali non sono diagnosticati. Uno sforzo considerevole nel rendere pubbliche informazioni sull’ADHD in età adulta sui media (carta stampata e mezzi elettronici) e attraverso libri di divulgazione ha aiutato molti adulti a comprendere che loro potessero avere questo problema. Ha ottenuto meno successo lo sforzo di educare psicologi e psichiatri a far considerare l’ADHD come possibile diagnosi in età adulta.
Un numero via via crescente di adulti incomincia ad essere diagnosticato come ADHD proprio perché hanno conosciuto questo disturbo e ritenuto di poterne essere affetti. Inoltre altri adulti cercano un consulto dopo che il loro figlio è stato diagnosticato con l’ADHD. Durante il trattamento del loro figlio diventa spesso chiaro che pure loro ne erano affetti e che continuano ad avere gli stessi problemi. Per altri, il clinico che diagnostica un ragazzo o adolescente con ADHD nota simili comportamenti in un genitore e suggerisce che una tale possibilità diagnostica necessita di essere approfondita.

Fare la diagnosi. La diagnosi di ADHD in età adulta segue lo stesso procedimento utilizzato nello stabilire questa diagnosi nei bambini e negli adolescenti. In primo luogo, usando i criteri del DSM-IV deve esserci la presenza di iperattività, inattenzione o impulsività. In secondo luogo, è necessario stabilire che i problemi che si presentano sono pervasivi: cioè che essi hanno un effetto considerevole su due o più contesti di vita (a casa, al lavoro, al college) ed incidono pesantemente sulla funzionalità sociale, accademica e lavorativa. Infine, è necessario stabilire che i problemi che si presentano sono cronici essendo stati presenti prima dei 7 anni di età. Ognuno di questi passi diagnostici può essere più complesso nel caso dell’adulto.

Stabilire la presenza dei comportamenti. I criteri specifici elencati nel DSM- IV non sono facilmente applicabili agli adulti. Alcuni professionisti raccolgono questi dati da interviste con il soggetto e possibilmente con altre persone importanti nella vita del soggetto. Altri professionisti preferiscono raccogliere tali dati utilizzando dettagliate scale di valutazione o protocolli diagnostici scritti. L’obiettivo per tutti i professionisti è confermare la presenza di iperattività e impulsività o disattenzione. Come notato precedentemente sono attualmente disponibili per raccogliere dati sugli adulti i seguenti mezzi: i Criteri Utah 32, il Protocollo dell’Università del Massachusetts Medical Center, la scala Brown ADD.
Negli adulti i comportamenti dell’ADHD potrebbero risultare modificati. Gli adulti iperattivi spesso cercano lavori e stili di vita che siano compatibili con il loro modo di essere più attivo. Sembra che ricerchino altri adulti che accettano il loro livello di attività. Quindi l’iperattività in se può non essere vista come problema. Inoltre, durante le interviste cliniche di un adulto è possibile vedere le loro ginocchia muoversi su e giù, vedere dondolare una gamba o battere le dita sulla scrivania. Intervistato, l’adulto ammette che gli è difficile stare ancora seduto.
L’inattenzione e la distraibilità generalmente risultano ancora aspetti problematici negli adulti. Molti adulti continuano ad essere distratti da stimoli uditivi o visivi. Altri descrivono una forma di distraibilità “interna”. Sembra che gli adulti con ADHD abbiano difficoltà a filtrare pensieri esterni di nessuna rilevanza per poter concentrarsi su ciò che vogliono o su cui hanno necessità di concentrarsi. Si potrebbero descrivere come adulti che hanno due, tre o molti pensieri allo stesso tempo. Come risultato alcuni segnalano di passare ad un altro pensiero e poi di distrarsi su quest’ultimo; le persone intorno a loro li descrivono come persone che non prestano attenzione o come “suonati” (imbranati). Altri adulti ancora li descrivono come persone che passano da un pensiero all’altro, che commentano un pensiero detto più avanti creando confusione nei loro ascoltatori. Ancora altri adulti li descrivono come persone che passano ad un altro pensiero e poi sentono la necessità di rispondere a quel pensiero. Passano da un compito all’altro, passano ad un altra considerazione per poi ritornare alla precedente. La loro vita è piena di compiti o attività incomplete.
Molti adulti che continuano ad essere impulsivi si impegnano per controllare la loro impulsività. Essi spesso hanno imparato che le loro interruzioni impulsive o i commenti possono comportare dei problemi; allora tale comportamento potrebbe risultare di minore problematicità. Gli adulti possono segnalare comunque di interrompere le persone, di dire cose senza pensare e quindi di poter urtare i sentimenti delle persone o di comportarsi senza prevedere le conseguenze.

Stabilire che i comportamenti sono pervasivi. Una volta che è stata stabilita la presenza di iperattività, inattenzione o impulsività è necessario mostrare che questi comportamenti esistono in due o più situazioni della vita. Ciò che maggiormente si sente dire è che questi comportamenti si verificano maggiormente al lavoro (o al college) e con gli amici o in famiglia. Questi comportamenti possono riguardare comunque anche attività ricreative ed eventi sociali.

Stabilire che i comportamenti sono cronici. È importante effettuare una storia dello sviluppo quanto più completa possibile per mostrare che i comportamenti erano presenti nella fanciullezza e nell’adolescenza. Se i genitori dell’adulto sono vivi è possibile far riferimento ai loro ricordi del passato. A volte sono disponibili vecchi documenti di valutazione e anche valutazioni degli insegnanti costituiscono fonte d’informazione. Ognuno degli strumenti formali di valutazione per gli adulti precedentemente segnalato include domande che s’incentrano sui comportamenti in età infantile ed adolescenziale.

 

LA DISORGANIZZAZIONE RAPPRESENTA UNA PARTE DEL QUADRO CLINICO DI UN ADULTO CON ADHD?

Non è infrequente trovare che libri e articoli sull’ADHD, specialmente sull’ADHD in età adulta, descrivano problemi di disorganizzazione come caratteristici del disturbo. Alcuni libri di divulgazione si incentrano maggiormente sulla disorganizzazione che sull’iperattività, inattenzione o impulsività. La disorganizzazione rappresenta una parte del quadro clinico di un adulto con ADHD?
Il sottoscritto visita adulti che hanno problemi di organizzare il materiale nell’ambito del lavoro o a casa. Questi hanno difficoltà ad organizzare sia dei programmi sia il tempo. La loro intera vita appare essere un grande problema con “disorganizzazione” sul loro lavoro (o in collegio), durante il loro tempo libero, e con le loro famiglie.
In assenza di dati provenienti dalla ricerca al riguardo, l’autore ha piacere di segnalare le sue impressioni cliniche sull’argomento della disorganizzazione, ritenendo che vi siano numerose probabili cause della disorganizzazione. Per alcuni soggetti, questi problemi riflettono l’ADHD, specialmente la disattenzione e la distraibilità. Per altri la disorganizzazione riflette una disabilità d’apprendimento sottostante, mentre per altri, riflette un problema relativo alla funzionalità esecutiva. Alcuni adulti possono essere disorganizzati a motivo di una combinazione di questi problemi. Chiarificare le cause della disorganizzazione è fattore critico nel trattarla successivamente. Se è il risultato dell’ADHD, la terapia farmacologica può risultare utile. Se è un riflesso di una disabilità d’apprendimento o difficoltà nelle funzioni esecutive, un tipo speciale di tutoring o d’insegnamento può risultare più utile. E se è il risultato di ADHD e uno degli altri problemi, è necessario sia l’approccio farmacologico sia l’assistenza d’un tutoring o di un particolare insegnamento.

Problemi di organizzazione secondari all’ADHD. Nell’ADHD l’inattenzione o distraibilità portano alla disorganizzazione. Per esempio, quando un adulto si accinge a svolgere un compito, qualcosa lungo il percorso distrae visualmente questa persona e sposta la sua attenzione.
Consideriamo il seguente esempio. Una donna entrò in cucina per iniziare a preparare la cena. Non appena vi entrò vide alcuni giornali sul tavolo e si sedette per leggerli. Aveva appena iniziato a leggere che vide un foglietto giallo sul telefono e così ricordò che doveva fare una telefonata. Mentre era al telefono vide alcune bollette su un tavolo. Quando lasciò il telefono andò a controllare queste fatture. Quindici minuti dopo che era entrata in cucina i suoi figli chiesero quando sarebbe stata pronta la cena e lei si ricordò perché era andata in cucina. Più tardi stava andando a raccogliere gli indumenti per fare un lavaggio. Alla fine delle scale guardò in una camera da letto e vide qualcosa che doveva fare. Si diresse in quella stanza per farlo. Mentre lasciava e ritornava giù verso l’ingresso notò qualche altra cosa che voleva fare ed iniziò a farla. I vestiti non vennero mai raccolti.
Altri adulti riferiscono la distraibilità interna descritta precedentemente come la causa della loro distraibilità. Ogni volta che la loro mente passa ad un altro pensiero sentono la necessità di cambiare attività o compito. La loro vita ed i loro ambiente sono pieni di attività o compiti lasciati incompleti a casa e al lavoro.

Problemi di organizzazione secondari a disabilità d’apprendimento. Uno dei problemi di elaborazione che può venire coinvolto da una disabilità d’apprendimento è l’organizzazione. L’organizzazione comporta l’abilità di sistemare insieme parti d’informazione in un concetto o di scomporre un concetto nelle sue parti. Questi soggetti possono avere difficoltà ad organizzare il loro ambiente. Il loro mondo è disorganizzato. I loro fogli di lavoro, files, notebook, scrivanie e l’ambiente familiare sono disorganizzati. Perdono cose, dimenticano fatti, fanno un lavoro e poi lo collocano male. Possono avere difficoltà ad organizzare i loro pensieri quando parlano e quando scrivono. Possono avere difficoltà ad organizzare il tempo e la programmazione del tempo.
Alcuni adulti, a causa delle difficoltà a organizzare l’informazione, hanno difficoltà ad ordinare ed archiviare il materiale. Non sanno come ordinare dei documenti in specifiche categorie e possono temere, archiviando questi documenti, di dimenticare come li hanno intitolati e quindi di non trovarli più. Il loro ambiente di lavoro e familiare può essere ingombrato da pile di documenti giornali e libri. Comunque sanno come trovare ciò che vogliono ma non riescono a riporlo o archiviarlo. La confusione conseguente crea stress al lavoro e nell’ambiente familiare.
Un altro problema di organizzazione che può essere la conseguenza di una disabilità d’apprendimento si riferisce a un problema di memoria a breve-termine. Questi adulti mai dimenticano il loro dovere o ciò che devono essere. Fanno pure una lista per aiutarsi ma perdono la lista o dimenticano di guardarla. La loro vita è disorganizzata.

Problemi di organizzazione secondari alle difficoltà della funzionalità esecutiva. La funzionalità esecutiva si riferisce alla capacità di definire e valutare un compito, pianificare una strategia per l’attuazione, iniziare questa procedura, fare qualche variazione necessaria lungo il processo e completare il compito in un tempo ragionevole. Gli adulti con difficoltà nella funzionalità esecutiva possono apparire disorganizzati perché non sembrano mai in grado di partire e completare i compiti o i lavori.

 

ADHD E LA COMORBILITÀ

L’ADHD e la comorbilità così come riferita ai bambini e adolescenti è discussa normalmente altrove e queste scoperte e tali dati non sono qui ripetuti poiché ognuno dei disturbi a base neurologica e dei problemi secondari a livello emozionale e comportamentale visti con i bambini e gli adolescenti possono proseguire in età adulta.
Studi sugli adulti con ADHD mostrano che approssimativamente il 24-35% degli adulti diagnosticati clinicamente hanno l’ADHD con il disturbo oppositivo-provocatorio e dal 17 al 25% manifestano disturbo della condotta nelle condizioni attuali o nel corso del loro precedente sviluppo. Una percentuale di adulti con ADHD variabile tra il 7 e il 18% ha un disturbo della personalità. Non è infrequente trovare adulti con ADHD e ansia, problemi umorali o controllo della rabbia.
In relazione ai criteri utilizzati per stabilire la presenza di una disabilità d’apprendimento, una percentuale variabile dal 30 al 50% dei bambini o adolescenti con ADHD presenta questa forma di disabilità. Poiché le disabilità d’apprendimento sono disabilità che perdurano nella vita c’è da aspettarsi che dal 30 al 50% degli adulti con ADHD presenterà anche una disabilità d’apprendimento. Questo disturbo può spiegare le precedenti difficoltà degli adulti nel campo scolastico, il loro scarso rendimento nella vita o le loro difficoltà con compiti quali la lettura, la pronuncia o l’organizzazione.

 

TRATTAMENTO DEGLI ADULTI CON ADHD

L’uso dei farmaci. Il ruolo di specifici farmaci nel trattare gli adulti con ADHD non differisce da quello per trattare bambini ed adolescenti. Sono usati gli stessi farmaci. Le stesse valutazioni cliniche, la determinazione del dosaggio, la loro copertura e la gestione degli effetti collaterali visti con i bambini sono valide anche per gli adulti. L’uso dei farmaci per trattare bambini ed adolescenti è presentato in altri testi. Gli studi sugli adulti con ADHD mostrano l’efficacia dei farmaci stimolanti e degli antidepressivi. Uno studio generale sull’uso di questi farmaci per adulti può essere trovato nella “Guida completa al Disturbo da deficit d’attenzione negli adulti”.

Interventi psico-sociali. L’approccio farmacologico da solo non è abbastanza completo per trattare gli adulti con ADHD. Possono essere necessari interventi educativi, psicologici e sociali. È importante aiutare l’adulto a comprendere il suo ADHD. Gli adulti possono aver necessità di riflettere sul loro passato e come questo disturbo può spiegare le loro precedenti difficoltà.
Una volta che il farmaco è prescritto e sono raggiunti i massimi benefici è necessario osservare quali problemi o situazioni particolari permangono. Per alcuni può essere utile una terapia individuale, di gruppo o familiare. Altri potranno beneficiare di un gruppo di sostegno. Ancora altri possono aver necessità di un istruttore o di un aiuto particolare nella gestione della vita.

Counseling individuale. La maggior parte degli adulti con ADHD hanno sofferto per anni nel sentirsi demoralizzati, scoraggiati ed incapaci a causa di una lunga storia di frustrazioni e risultati scadenti a scuola, al lavoro, con la loro famiglia di origine e la loro attuale famiglia e negli ambiti sociali in genere. È necessario spiegare la diagnosi ed aiutare i soggetti a ripensare e inquadrare nuovamente il passato. Possono aver necessità d’integrare questa nuova informazione su loro stessi e ripensare i loro precedenti successi e fallimenti, la loro autostima e la loro autoimmagine. Lentamente hanno necessità di comprendere il loro presente e valutare i cambiamenti per il loro futuro.

Gruppi di sostegno. Gli adulti possono trarre benefici dal lavoro di gruppo con altri adulti che hanno l’ADHD. Sono discussi argomenti di interesse comune riguardanti l’autostima, le relazioni, la competenza sociale ed i problemi di lavoro, sotto la direzione di una guida del gruppo.
Organizzazioni quali il CHADD (Children and Adults with Attention Deficit Disorder) forniscono incontri con oratori e gruppi di discussione. È disponibile al riguardo della letteratura. Sia il soggetto ADHD, sia adulti di riferimento per lui, possono trarre benefici dalla presenza e partecipazione.

Terapia di coppia e di famiglia. Alcuni adulti con ADHD hanno difficoltà nelle abilità sociali o competenza sociale. Altri possono avere problemi a livello affettivo. L’affettività consiste nella capacità di essere vicini e nella capacità di sentirsi liberi di essere se stessi permettendo agli altri di essere se stessi. Condizioni particolari di autostima, di confort personale o precedenti sofferenze vissute nella riservatezza e intimità possono rendere l’approccio verso l’affettività evento stressante o farlo percepire come pericoloso. Può essere necessario un lavoro individuale seguito da un lavoro di coppia.
I comportamenti dell’ADHD (iperattività, inattenzione o impulsività) così come i modelli appresi di interazione possono comportare stress all’interno della famiglia del soggetto adulto con ADHD. La terapia familiare può allora essere utile; l’educazione di tutti i membri della famiglia sull’ADHD è importante. I precedenti modelli di relazione e di ruoli all’interno della famiglia possono essere approfonditi e opportunamente indirizzati.

 

ARGOMENTI SPECIALI

Programmi educativi. Se il giovane adulto con ADHD lascia la scuola superiore ed entra al college, l’ADHD rimane con lui. Se successivamente questo adulto si indirizza verso studi superiori anche l’ADHD gli va appresso. Così anche l’adulto con l’ADHD che lascia la scuola superiore ed entra nell’esercito, in un programma di training al lavoro o parte con un’esperienza di lavoro, continua ad avere l’ADHD.
Se il farmaco risultava utile da adolescente, può continuare ad esserlo egualmente durante gli anni successivi alle scuole. Possono essere tuttavia necessari degli aggiustamenti. Poiché dal 30 al 70% dei soggetti con ADHD hanno disabilità d’apprendimento è essenziale che sia presa in considerazione questa disabilità. Se il soggetto ha una disabilità d’apprendimento concomitante questi problemi andranno valutati e indirizzati nel miglior modo.
Un’ autoconsapevolezza ed una forma di auto sostegno sono essenziali. Saranno necessari aggiustamenti nella classe, al lavoro o nello studio. Gli adulti devono sapere quando e cosa far conoscere di se stessi perché possano far richiesta di ciò di cui hanno bisogno. Deve essere programmato l’uso appropriato del farmaco per la copertura negli orari di lavoro quando necessario.

Il posto di lavoro. È utile spesso il counseling del lavoro. È essenziale individuare una carriera o un lavoro che possa costruirsi sui punti di forza dell’individuo piuttosto che sui suoi punti deboli. È egualmente importante che l’ambiente di lavoro sia compatibile con l’iperattività, l’inattenzione o impulsività ancora presenti ovvero che siano apportati opportuni cambiamenti.
Nel fare un tal tipo di counseling è necessario sapere se il soggetto è in cura farmacologica con buoni risultati. In sostanza si deve stabilire se i comportamenti dell’ADHD rappresentano ancora un problema. Inoltre è necessario sapere se c’è una disabilità d’apprendimento comorbida nel programmare il futuro. Qualunque altro problema psichiatrico va opportunamente inquadrato.
Spesso gli adulti, grazie al counseling di lavoro o all’aver intuito quale attività è più adatta per loro, scelgono lavori o carriere che usano i loro punti di forza e tengono conto del loro livello di attività ed altri comportamenti ottenendo buoni risultati. Comunque quando sono promossi ad un “livello intermedio” o a posizioni di livello intermedi di tipo gestionale, i loro comportamenti da ADHD ed eventuali disabilità d’apprendimento divengono nuovamente un problema. In tal caso non si muovono più in modo attivo durante il lavoro stando dietro la scrivania tutto il giorno. In tale situazione devono affrontare lavori delicati come inventari, programmazione lavori e produttività. Possono così sentirsi oppressi ed il loro ADHD diviene un problema. Si rende necessario precisare ciò ed apportare gli opportuni cambiamenti.

La carriera militare. Una recente decisione del Dipartimento della Difesa stabilisce che qualunque soggetto che ha preso Ritalin dopo i 14 anni di età non è idoneo al servizio militare. Il motivo di tale decisione è che se si continua ad avere necessità di tale farmaco dopo i 14 anni è molto più probabile che questo soggetto abbia una forma di ADHD da adulto. Quindi, questo soggetto può aver necessità del farmaco per raggiungere la sua migliore funzionalità. Le autorità militari sono preoccupate del fatto che questo soggetto possa trovarsi in un’operazione di combattimento o altra situazione in cui il farmaco non sia disponibile e quindi potrebbe risultare non in grado di dare il suo meglio.
Le attuali normative vietano anche che qualunque soggetto che abbia assunto farmaci per l’ADHD dopo i 14 anni di età entri nei training per il volo. Nessuna persona in servizio attivo può svolgere servizi di volo se assume tali farmaci. Ad oggi non è stata fatta alcuna eccezione.
(Aspetto interessante: l’Amministrazione federale dell’Aviazione usa delle linee guida assai differenti. Se un soggetto è in cura farmacologica per l’ADHD e fa domanda di volare per scopi ricreativi, può chiedere di affrontare l’esame. Se la commissione di controllo concorda nel ritenere che il trovarsi sotto cura farmacologica non è fattore rilevante, questa patente può essere assegnata. Comunque in nessuna circostanza un adulto che sia sotto cura farmacologica può ricevere una patente di volo per fini commerciali).

 

SOMMARIO 

Molti bambini ed adolescenti con ADHD diventano adulti con ADHD. Il quadro clinico può essere modificato rispetto a quanto riscontrato in età giovanile; comunque l’iperattività, l’inattenzione e l’impulsività permangono. Questi comportamenti influiscono sull’educazione, sul lavoro, sulle relazioni e nell’ambito familiare del soggetto. Se questo adulto presentava delle disabilità d’apprendimento così come presenti nella fanciullezza e nell’adolescenza, continueranno anche nell’età adulta. Continueranno ad essere presenti anche molti dei problemi emotivi, comportamentali e sociali del passato.
Se il bambino o l’adolescente con ADHD è diagnosticato precocemente e trattato in modo appropriato durante gli anni scolastici, si trasmettono in età adulta un minor numero di problemi secondari. Se non identificati precocemente durante la fanciullezza e nemmeno durante l’adolescenza, possono presentarsi da adulti un maggior numero di problemi emotivi, comportamentali e sociali.
L’identificazione dell’ADHD in età adulta è una questione critica. Sono essenziali il trattamento farmacologico ed interventi di natura psicosociale. Il counseling di tipo educativo, individuale e di lavoro può risultare di notevole rilevanza. La mancanza di diagnosi o la circostanza di non aver affrontato i problemi spesso correlati all’ADHD comporta come conseguenza un adulto assai poco funzionale e con scarse possibilità di riuscita nella vita.